Il settore turistico alberghiero è in drammatica crisi

A rischio il proseguimento dell’attività di molte aziende anche per l’entrata in vigore delle nuove norme europee sulle insolvenze bancarie. Necci: «la situazione del turismo italiano è disastrosa e il governo nazionale latita».

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settore turistico alberghiero

Il settore turistico alberghiero fra i vari comparti dell’economia italiana è oggettivamente tra i più colpiti: nelle principali città d’arte italiane l’incidenza dei flussi turistici internazionali sul fatturato supera abbondantemente il 70% con picchi del 90% in alcuni mesi dell’anno. «si tratta di flussi totalmente azzerati dal marzo del 2020, e come si evince dalle rilevazioni dell’Ebtl riprese dalla Banca d’Italia si sono riscontrate diminuzioni di arrivi di turisti internazionali superiori al 90%, diminuzioni che hanno riguardato i bacini a più alta capacità di spesa come americani, giapponesi, tedeschi, inglesi» afferma Roberto Necci, presidente del Centro studi Federalberghi Confcommercio e titolare della Necci Hotels.

«Un vero dramma per le aziende, e conseguentemente per i lavoratori, che da sempre dipendono dai flussi che l’Italia è in grado di intercettare dall’estero – prosegue Necci -. Aziende ferme da quasi un anno, lavoratori assistiti da ammortizzatori sociali che vengono erogati in misura molto limitata rispetto alle normali retribuzioni e con scadenze non sempre puntuali completano il quadro del dramma che gli alberghi italiani ed i loro collaboratori stanno vivendo».

L’impossibilità o la limitazione degli spostamenti regionali oltre che il divieto di organizzare eventi tolgono qualsiasi alternativa di mercato al settore turistico alberghiero che non potrà riprendere l’attività ordinaria prima della normalizzazione della situazione.

«Il problema è che fermare un’azienda per mancanza di mercato significa continuare a sostenere dei costi fissi relativamente a personale di sorveglianza, utenze, tasse e oneri vari – elenca Necci -. Questa situazione ha azzerato totalmente la liquidità delle aziende ed a nulla sono serviti gli aiuti a fondo perduto erogati indiscriminatamente ed in misura totalmente insufficiente per affrontare il periodo eccezionale. Non solo: vi è una ulteriore criticità per le aziende alberghiere che rischia di compromettere anche la ripartenza di quelle aziende avranno la forza di ripartire e questa insidia ci viene direttamente dall’Europa con l’entrata in vigore della nuova normativa sui crediti deteriorati in capo alle banche che rischia di impedire alle stesse banche di aiutare le aziende e l’economia nella fase successiva al Covid-19, visto che basta un insoluto di soli 500 euro protratto per tre mesi consecutivi per fare dichiarare l’insolvenza del credito con tutto quel che ne consegue».

L’industria dell’accoglienza dinanzi a spese fisse e ad entrate azzerate ben difficilmente uscirà indenne dal periodo di crisi, «con la conseguenza che le inadempienze economiche saranno piuttosto evidenti e diffuse, visto che con queste regole – sottolinea Necci – anche la minima inadempienza impedisce l’accesso ai finanziamenti e nel mondo post Covid difficilmente si troveranno aziende idonee all’accesso al mercato dei finanziamenti».

Una stortura che va corretta urgentemente e sostanzialmente le soluzioni sono due: «non considerare le inadempienze quelle nate nel periodo Covid-19 o aiutare il settore turistico alberghiero con il fondo perduto sulla base della perdita del fatturato; ovviamente estendere le garanzie statali ai prestiti alle imprese per il tramite del circuito bancario renderebbe tecnicamente possibile l’operazione di sostegno all’economia – afferma Necci -. Contemporaneamente è necessario risolvere le criticità relative allo scudo penale per i dirigenti bancari per evitare che si trovino in situazioni di rilevanza penale in caso di fallimento delle aziende è compito del nostro legislatore che, del resto, nella tutela di alcuni interessi particolari è spesso piuttosto solerte».

La crisi del settore turistico alberghiero si riverbera anche sul mercato immobiliare delle strutture alberghiere: attualmente gli alberghi in vendita in Italia sono 586, l’1% in meno rispetto a febbraio, quando c’erano 591 hotel alla ricerca di un nuovo proprietario. Il motivo? «Per evitare svendite, si è deciso di ritirare le offerte dal mercato – afferma Necci -. Oggi le aziende non hanno la convenienza a essere valorizzate perché il mercato guarda tutto ciò che ha per oggetto il prodotto turistico con estremo scetticismo e quindi si rischierebbe di venderle a prezzo di sconto. A differenza di un anno fa, le strutture sono valutate anche il 50% in meno».

Le regioni dove si concentrano maggiormente le strutture in vendita sono il Veneto (79), la Toscana (76) e il Lazio (71), seguite da Emilia Romagna (67) e Lombardia (54), per un valore complessivo che supera i 2,3 miliardi di euro.

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