Libere professioni e attività imprenditoriali in ambito femminile: un’analisi a tutto campo

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Intervento di: Irene Cocco, Dottore commercialista in Vicenza Anna Tosetto, Avvocato in Vicenza. ” Sempre più spesso sentiamo parlare di “diversity management” senza riuscire a comprenderne esattamente il significato. Si può definire come una modalità di gestione delle risorse umane che, partendo dall’analisi delle peculiarità di ciascun individuo, riesce a valorizzare il potenziale umano e a conciliare in modo efficace i bisogni organizzativi aziendali con i bisogni individuali.

Sarà proprio questa la tematica che verrà trattata e dibattuta in un’ottica costruttiva e di confronto nel corso dell’evento organizzato dall’UGDCEC di Vicenza il prossimo 31 marzo a Trento, con un focus particolare sul potenziale professionale ed imprenditoriale femminile.

La gestione della diversità, in Italia sottointesa tradizionalmente come di genere, da tema di pari opportunità è divenuto argomento di interesse economico in quanto il mondo aziendale fatica a riconoscerne l’enorme potenziale racchiuso.

LA LEGGE GOLFO MOSCA

Un passo fondamentale è stato fatto con l’entrata in vigore dalla Legge n. 120/2011 (Legge Golfo-Mosca) che ha introdotto le c.d. quote di genere prevedendo che il genere meno rappresentato nei consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico ottenga almeno il 30% dei membri eletti per tre mandati consecutivi (unicamente per il primo mandato il limite era il 20%), disposizioni prorogate e parzialmente revisionate con la legge di Bilancio 2020 .

Grazie alla predetta proroga, l’equilibrio tra i generi è assicurato per sei mandati assembleari consecutivi, con raddoppio rispetto alla precedente versione del testo di legge che limitava il beneficio a tre rinnovi consecutivi. È stata inoltre innalzata la quota di genere al 40% sia per i cda che per i collegi sindacali delle società quotate.

DONNE AI VERTICI DELLE IMPRESE

Secondo un recente rapporto ( Le donne ai vertici delle imprese 2020, pubblicato dall’Osservatorio Cerved-Fondazione Bellisario in collaborazione con l’Inps, Febbraio 2020 ) riguardo agli effetti della legge Golfo-Mosca sulla presenza di donne nelle aziende, è emerso che dopo otto anni dalla sua entrata in vigore il sistema di quote di genere ha effettivamente prodotto i risultati prestabiliti: nei cda delle società quotate si è raggiunta la quota del 36,3% di presenze femminili, con un incremento superiore a quattro volte le presenze del 2011, e nei cda delle società a controllo pubblico le presenze rosa ammontano oggi a circa il 28,4%.

Tuttavia, questi numeri, se letti da un altro punto di vista, evidenziano che non vi scostamenti significativi rispetto ai limiti minimi imposti per legge. Sono poche infatti le società dove la presenza femminile è cresciuta oltre la quota normativamente prevista (solo il 14% dei cda delle società ha superato di almeno un’unità il minimo delle presenze femminili imposte per legge) ed il ruolo delle donne nelle posizioni di maggior rilievo continua ancora a scarseggiare. Nelle società quotate l’incarico di amministratore delegato è ricoperto da una donna nel 6,3% dei casi ed i presidenti donna sono presenti in circa il 10,7% delle società.

Il dato che maggiormente dovrebbe far riflettere si registra con riguardo alle società non soggette all’obbligo delle quote, dal momento che in tali contesti la legge 120/2011 pare non aver generato alcuna influenza positiva. La presenza femminile nei cda delle società non quotate nel 2011 era pari a circa il 13,8%, mentre nel 2019 si attestata intorno al 17,7%. La crescita di soli quattro punti percentuali in otto anni è un dato a dir poco sconfortante. Alla luce di ciò, appare evidente che nel tempo non c’è stato un reale cambiamento ideologico poiché, in assenza della forza impositiva di una norma, attorno alla figura femminile continua ad aleggiare lo spettro dello stereotipo.

LE LIBERE PROFESSIONI

Questa tendenza rimane pressoché invariata anche nella sfera delle libere professioni: su un milione e 400 mila professionisti iscritti ad un albo (27% del lavoro indipendente nel Paese), la quota femminile è pari al 36%, con una lieve inflazione nel Mezzogiorno, dove si registra un tasso del 32%. Si rileva però un trend positivo tra i professionisti più giovani (fascia d’età 18-34), con un gender gap pressoché nullo, mentre con l’aumentare dell’età la differenza di genere diventa più marcata ed assume il valore massimo tra i professionisti over 55 anni, dove la componente maschile conta oltre il 75%. L’assenza di reali pari opportunità si riscontra anche sul fronte reddituale: mediamente una donna percepisce redditi inferiori del 38% rispetto a quelli introitati dei colleghi maschi e la disparità va incrementando con l’aumentare dell’età.

Focalizzandosi in particolare sui dati relativi a tre categorie ordinistiche, ovvero quelle dei commercialisti, dei notai e degli avvocati, i dati disponibili per il 2019 fanno emergere che la componente maschile è sempre predominante tra i commercialisti (67,20%) ed i notai (62,81%), anche se si sta assistendo ad una graduale inversione di tendenza tra le nuove leve: le donne rappresentano infatti il 49,3% tra i praticanti commercialisti ed il 50% tra i partecipanti ai concorsi da notaio. Nella professione legale si assiste invece già da qualche anno ad un cambio di tendenza, con numeri molto vicini al pareggio: su un totale di circa 245.000 avvocati iscritti nel 2019, circa il 48% sono donne e nelle classi al di sotto dei cinquant’anni il genere femminile ha ormai di lunga “sorpassato”, dal punto di vista numerico, quello maschile.

I REDDITI

Dal punto di vista reddituale i numeri non sono però così “rosei”. I dati disponibili per il 2018 confermano infatti che, ad eccezione delle donne che svolgono l’attività di notaio le quali vantano il “privilegio” di percepire redditi pressochè uguali a quello dei colleghi uomini, molto forte rimane il divario nelle altre due categorie. Gli introiti medi di una commercialista donna si attestano intorno al 40% rispetto a quelli dichiarati dai colleghi uomini, mentre per le “avvocatesse” la disuguaglianza sale addirittura al 45% ed il divario aumenta tra il nord ed il sud del paese, nonché tra i colleghi senior e quelli più giovani.

IL GENDER GAP

Alla luce dei dati sopra elencati, che nel loro complesso denotano un gender-gap ancora fortemente sbilanciato a favore del sesso maschile, la grande sfida che ci si pone davanti punta verso una maggior consapevolezza delle capacità di ciascuno che renda possibile neutralizzare o, per meglio dire, valorizzare la “diversità” intesa nel più ampio senso del termine.

E’ sicuramente necessario risolvere il problema culturale di fondo che connota la nostra società: da un lato le donne spesso cadono nell’errore di non considerarsi all’altezza di ricoprire ruoli apicali per presunta incompatibilità tra la vita familiare e quella professionale, dall’altro è diffuso nella società il pensiero che la gestione della casa e della famiglia sia “prerogativa” strettamente femminile.

E’ essenziale un cambio di mentalità a favore di un nuovo approccio che veda da un lato la possibilità di lavorare in modo flessibile, dall’altro la condivisione dei lavori di cura, dei ruoli parentali e di accudimento dei figli con il partner e altre figure di supporto. Se si vuole pensare di fare carriera ci sono alcuni ingredienti che non possono mancare: un’adeguata organizzazione alle spalle, una buona dose di pragmatismo, forte autostima ed ambizione personale, oltre al sano coraggio di mettere da parte i sensi di colpa spesso tipici del sesso femminile.

D’altro canto, titolari di studi ed aziende devono a loro volta modificare la propria mentalità superando pregiudizi per i quali “se non ti vedo non stai lavorando” e provando ad evolvere la propria organizzazione di lavoro, traslando da una “cultura della presenza” ad una “cultura della performance”. In tal senso, la pandemia che nell’ultimo anno sta affliggendo l’intera popolazione mondiale, ha sicuramente contribuito a modificare la visione del lavoro verso una valutazione per obiettivi piuttosto che per numero di ore trascorse alla propria scrivania.

A ciò si aggiunga la necessità di implementare piani di welfare ad hoc, improntati verso la creazione di misure efficaci ed efficienti per il sostegno della figura femminile e della natalità (es: programmi per le donne manager in maternità, bonus nascita, asilo aziendale, sussidi per gli asili privati).

LA STRADA DA PERCORRERE

In conclusione, nei dieci anni trascorsi dall’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca il ruolo lavorativo femminile ha ricevuto dei riconoscimenti tangibili, anche se, ad onor del vero, la maggior parte dei risultati è stata ottenuta a suon di imposizione normativa. Molta strada è stata percorsa per appianare le disparità di genere ma è necessario lavorare ancora molto affinché le pari opportunità e la pari dignità dei lavoratori possano essere davvero annoverate tra i trofei finalmente conquistati. Tale risultato potrà essere davvero conseguito solo in seguito ad una vera e propria rivoluzione culturale che faccia comprendere a tutti, imprenditori e lavoratori, che un ambiente di lavoro più sereno, equo ed attento ai bisogni dei singoli individui, siano essi indifferentemente donne o uomini, rappresenta anche un volano per migliorare la produttività e le performance aziendali nel lungo periodo.

Mai come oggi questa rivoluzione appare necessaria ed improcrastinabile, alla luce anche della pandemia che, se da una parte ha aperto uno scenario di rischio altissimo di fuoriuscita dal mercato del lavoro per le donne, dall’altro sta creando nuove opportunità per il rilancio dell’economia e del Paese anche attraverso le valorizzazioni dei talenti femminili. “