Il blocco dello sci a 24 ore dall’apertura manda in crisi gli operatori

Proteste generalizzate per una decisione che vanifica le spese sostenute per l’approntamento degli impianti. Confturismo Veneto: «siamo inferociti». Federturismo: «oltre ai ristori, chiediamo più rispetto». Bond: «il tira e molla è la morte della montagna».

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Ponte dell’Immacolata blocco dello sci

Ci voleva l’appena riconfermato (immeritatamente) ministro alla Sanità, Roberto Speranza, a gettare nello sconforto gli operatori economici della montagna che, a 24 ore dalla riapertura degli impianti per l’ultimo scampolo di una stagione invernale contrassegnata dalle chiusure da Covid-19, si sono visiti comunicare la proroga dei blocco dello sci e degli impianti fino al 5 marzo prossimo, con ciò mettendo di fatto la parola fine alla stagione sulla neve 2020-2021.

«Sono inferocito – sbotta Marco Michielli, presidente regionale di Confturismo e di Federalberghi Veneto, e vicepresidente nazionale -. Non più tardi di una settimana fa commentavo, considerandola logicamente impossibile, l’ipotesi dell’ennesima posticipazione della partenza delle attività in montagna, rimarcando che sarebbe stata la sesta volta dal ponte di sant’Ambrogio, e quindi non si sarebbe più rasentata la presa in giro degli operatori, del personale dipendente e dei turisti, ma sarebbe stato un dichiarato schiaffo». 

«Sembrava impossibile, ma purtroppo ieri, ripeto per la sesta volta, a poche ore dalla possibile riapertura, è arrivato l’ennesimo stop – aggiunge Michielli –. Stop che a questo punto può essere definitivo, perché se questi signori a Roma pensano che le attività del mese di marzo possano in qualche modo salvare la stagione invernale dimostrano di non conoscere minimamente la realtà dell’economia della montagna. Vogliamo considerare la rabbia di chi per sei volte ha gettato soldi nelle pulizie delle strutture, assunto i dipendenti, ordinato e poi gettato le materie prime, riscaldato gli ambienti, sempre avvisato all’ultimo giorno che non avrebbe potuto aprire

Oltre alle beffe c’è il danno che deve essere indennizzato adeguatamente: «a questo punto si rendono indispensabili risarcimenti seri, non certo i “ristori” che fino ad oggi abbiamo visto. Questo, sia chiaro, non vale solo per la montagna, ma per tutto il settore turistico – precisa Michielli -. Tutte le aziende sono esauste e non c’è più il minimo di cassa vitale per poter far proseguire le attività. Per molti è già scoccata la venticinquesima ora: la neve non aspetta certo i comodi del Cts e del ministero».

Reazione di sconcerto anche da parte di Federturismo Confindustria: la presidente Marina Lalli afferma che «con il cambio di Governo ci aspettiamo innanzitutto un cambio di passo verso un maggiore rispetto degli operatori. Non sono più accettabili queste modalità di procedere, chiediamo maggiore chiarezza, trasparenza e regole certe. La decisione arrivata in extremis di posticipare l’apertura degli impianti sciistici al 5 marzo non è rispettosa nei confronti di tanti imprenditori, lavoratori e turisti e rappresenta un duro colpo per l’economia della montagna». 

Anche per Lalli ora detrimente è l’arrivo rapido degli indennizzi: «devono avere la priorità assoluta e devono essere contemplati già nel prossimo decreto, ma quello che rimane intollerabile è un cambio di programma dell’ultima ora. Questo significa non conoscere il lavoro propedeutico ad una riapertura annunciata ormai da settimane e non riconoscere lo sforzo di chi ha sempre lavorato nel rispetto delle regole, investendo in protocolli di sicurezza e che, fidandosi delle disposizioni ricevute, era pronto a ripartire ma invece è stato nuovamente bloccato».

Non ci sono solo gli impiantisti e gli albergatori ad essere danneggiati da un modo di gestire l’emergenza Covid-19 senza alcuna programmazione: ad essere pesantemente danneggiati ci sono anche le tante partite Iva connesse al turismo, dagli organizzatori di eventi agli operatori dello spettacolo e dell’intrattenimento, oltre che miriadi di liberi professionisti: anche per tutti costoro devono esserci indennizzi adeguati e non le elemosine da 600 euro erogate da un non compianto governo BisConte.

Il modo di procedere di Speranza & Soci ha destato le proteste anche della politica. «Ma in che mani siamo? Il blocco agli impianti da sci a poche ore dall’apertura è una vergogna – dichiara l’on. Maria Cristina Caretta, deputata veronese di Fratelli d’Italia -. Personale assunto, piste battute e titolari delle baite che hanno fatto gli acquisti in attesa della clientela che non verrà. Chi li risarcirà? Il blocco dello sci è una decisione presa con la stessa approssimazione, lo stesso menefreghismo con cui si sono fatti spendere soldi ai ristoratori di tutta Italia per illuderli e poi chiuderli, mettendo in ginocchio interi settori economici. Chi prende queste decisioni ha mai lavorato un giorno in vita sua? Ha mai perso il sonno nell’incertezza di potersi guadagnare da vivere? Non credo altrimenti non si spiegherebbe tanta superficialità».

«Il dietrofront del Cts sugli impianti di risalita è incomprensibile. O i dati erano sbagliati qualche giorno fa, quando è arrivato l’ok all’apertura per il 15 febbraio, oppure è sbagliata la nuova chiusura prolungata. In questo tira e molla però la montagna muore – afferma il deputato Bellunese di Forza Italia, Dario Bond -. Alberghi e località turistiche aspettavano la giornata del 15 febbraio come una data simbolo per salvare il salvabile di una stagione ormai compromessa e defunta. Ora con il blocco dello sci cosa accadrà? Chi era pronto per partire domani avrà i ristori? Quel che è vergognoso è ancora una volta la differenza di trattamenti a sfavore della montagna. Oggi a Roma, domenica da zona gialla, era pieno di gente, con file nei bar e nei negozi, con conseguenti assembramenti. O le varianti del virus esistono ovunque oppure c’è una disparità inaudita: in montagna, all’aria aperta e con tutti i protocolli di sicurezza previsti dagli impiantisti non si arriverà mai agli assembramenti visti oggi nella capitale».

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