Dpcm: per il Gip di Reggio Emilia sono atti illegittimi

Disapplicata la norma che impone l’obbligo di permanenza domiciliare in quanto norma di portata penale. La sentenza diventa definitiva per mancato ricorso della Procura. Sconfessato l’operato dell’“Avvocato del popolo”.

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Il Gip del Tribunale di Reggio Emilia sconfessa l'"Avvocato del popolo", Giuseppe Conte.

Qualcosa si muove nell’Italia che, da lunedì prossimo, s’appresta a tornare quasi interamente in “zona rossa”, con pesanti vincoli alla mobilità e all’attività delle persone e delle imprese, vincoli questa volta disposti con decreto legge invece che con Dpcm.

Il Gip del Tribunale di Reggio Emilia, Dario De Luca, ha emesso una sentenza destinata a diventare uno dei punti di riferimento della numerosa normativa innovativa che durante l’emergenza Covid-19 si è affastellata spesso senza basi giuridiche e coordinamento con la Costituzione, le leggi e le sentenze della Cassazione.

Nella questione decisa dal Gip reggiano, la vicenda di una coppia che era stata fermata in pieno confinamento dai carabinieri ai quali hanno esibito un’autocertificazione falsa e per questo era finita a processo, salvo venire prosciolti dal giudice ritenendo illegittimo il Dpcm anti-Covid emanato dal poco rimpianto “Avvocato del popolo”, Giuseppe Conte. 

La sentenza del Gip Dario De Luca è stata emessa il 27 gennaio scorso e a darne notizia è stato il portale Cassazione.net, sito d’informazione giuridica. I fatti risalgono al 13 marzo di un anno fa, quando un uomo e una donna furono fermati in auto ad un posto di blocco a Correggio, nella Bassa Reggiana. Compilarono l’autocertificazione dichiarando lei «di essere andata a sottoporsi ad esami clinici» e lui «di averla accompagnata», motivando così lo spostamento per comprovata necessità di salute. 

I successivi controlli delle forze dell’ordine accertarono che «la donna quel giorno non aveva fatto alcun accesso all’ospedale». Scattarono così le violazioni previste del primo Dpcm emesso dall’allora premier Conte, l’8 marzo 2020, con le restrizioni di movimento dall’abitazione. Nei loro confronti era stato chiesto un decreto penale di condanna, ma per il giudice il fatto non costituisce reato, «per l’illegittimità del Dpcm», definendo un «falso inutile» quello commesso dai due. 

Nell’argomentare la sentenza, De Luca scrive «poiché proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato “costretto” a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima». Non è possibile, prosegue De Luca, «imporre un obbligo di permanenza domiciliare che nel nostro ordinamento giuridico consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio». 

Infine chiarisce come «poiché trattasi di Dpcm, cioè di un atto amministrativo, il giudice ordinario non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge». 

Quest’ultimo, probabilmente, è il passaggio più interessante della sentenza, passata in giudicato in quanto la Procura del Tribunale non ha fatto appello: il Dpcm, in quanto atto amministrativo, non può sovraordinarsi ad una disposizione di legge. E le leggi che stabiliscono la libertà di circolazione delle persone e la libera attività economica hanno sicuramente un valore superiore ad un atto amministrativo. Ne potrebbe derivare la conseguenza che tutti i provvedimenti restrittivi della libertà delle persone e delle attività economiche decisi unilateralmente dall’“Avvocato del popolo” con i Dpcm potrebbero essere illegali e, come tali, essere nulliex tunc” ed esporre colui che li ha emanati a rispondere civilmente dei danni cagionati a milioni di attività economiche.

Si vedrà nei prossimi giorni se la decisione del Gip reggiano sarà destinata o meno ad aprire uno squarcio nel muro dei divieti e delle chiusure troppo facilmente disposti. Intanto, Plaudono alla sentenza quegli avvocati e giuristi (più di un centinaio), che il 30 aprile 2020 scrissero a Conte una lettera aperta carica di preoccupazioni per le restrizioni delle libertà fondamentali introdotte con il decreto senza essere minimamente presi in considerazione. Le loro preoccupazioni trovano ora un autorevole avvallo in una sentenza giuridica passata in giudicato che apre la via ai ricorsi da parte delle migliaia di multati per avere circolato o aperto negozi violando divieti disposti con i Dpcm.

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