Pnrr e le 42 riforme: la sfida per il governo Draghi e per il Parlamento

Tempi ristrettissimi per approvare i provvedimenti in meno di 100 giorni pena la perdita dei fondi europei. 

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Appena si concluderà la tornata elettorale delle elezioni amministrative con il ballottaggio del 17 ottobre, i partiti dovranno rapidissimamente tornare alla realtà per affrontare (e, possibilmente, vincere) la sfida di approvare 42 riforme imposte dagli accordi europei per il Piano nazionale di ripresa e resilienza entro meno di 100 giorni di calendario che si riducono a meno di 60 di dibattito parlamentare, visto che il mese di dicembre è occupato dalla discussione e approvazione della legge di stabilità 2022.

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Una sfida di non poco conto, che impegnerà a fondo il governo Draghi per gestire i lavori parlamentari, visto che il rischio di impaludamento delle riforme è sempre dietro l’angolo, anche in considerazione che su alcuni aspetti è difficile trovare il consenso di tutta l’ampia ed eterogena maggioranza. Sul piatto ci sono i 191,5 miliardi dei fondi europei del Pnrr, con erogazioni in rate semestrali che rischiano di saltare se l’Italia non tiene fede ai patti con Bruxelles.

Per poter accedere ai versamenti della prima parte del 2022, l’Italia deve ancora soddisfare 42 delle 51 riforme previste per il 2021. Si tratta di misure in gran parte normative, che includono delicati passaggi parlamentari, come quello sulla legge delega di riforma della giustizia; una controversa revisione delle politiche attive del lavoro che include anche il reddito di cittadinanza; la legge quadro sulle disabilità e la riforma universitaria. Temi che, fuori da palazzo Chigi, quasi nessuno sta discutendo.

Questo non è tutto: in ballo c’è anche la legge delega sul fisco che il governo Draghi vorrebbe approvare entro la prima settimana di ottobre, il varo in Consiglio dei ministri della legge annuale di concorrenza e l’ulteriore rimaneggiamento della legge sulle pensioni per evitare che scatti uno scalone di 6 anni nella notte di cambio d’anno.

A far temere circa il buon esito di tutto l’impegno sulle riforme, oltre alle scaramucce parlamentari, c’è anche lo zampino della burocrazia e le sabbie mobili dei diversi poteri ministeriali timorosi di perdere forza, oltre alla solita duplicazione dei livelli di gestione, tra il dipartimento della Funzione pubblica e quello degli Affari giuridici, cui s’aggiunge la neonata Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione, sempre ai fini del Pnrr. Questo all’interno della presidenza del Consiglio dei ministri. Al ministero dell’Economia, capofila di tutto il progetto e titolare dei rapporti con Bruxelles, coesistono poi due diverse strutture di coordinamento. Infine c’è la segretaria tecnica della Cabina di regia a Palazzo Chigi, con funzioni di indirizzo, coordinamento e impulso, e il Dipartimento politiche economiche della presidenza.

Tanti, troppi protagonisti che rischiano umane invidie e politici sgambetti.

Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.42 riforme

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