Onorevoli pensioni garantite anche in caso di scioglimento anticipato della legislatura

690 parlamentari di prima nomina in ambasce per il rischio di perdere l’assegno a vita tirano un respiro di sollievo. Ancora una volta, l’Italia è il paese dei privilegi. 

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onorevoli pensioni

Tra le soffici poltrone del Parlamento, deputati e senatori alla prima nomina tirano un grosso respiro di sollievo: le onorevoli pensioni allo scoccare dei 65 anni (abbassabile a 60 nel caso di coloro che hanno fatto più legislature) saranno al sicuro, erogate anche in caso di scioglimento anticipato primo dello scadere del fatidico 4 anni, 6 mesi, 1 giorno di mandato elettorale che scocca il 24 settembre 2022.

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Ad essere interessati dalla questione sono 690 parlamentari al primo giro di roulette, molti dei quali letteralmente beatificati da qualche click che li ha fatti inserire nelle liste elettorali, tale da proiettarli d’un botto da reddito zero (o poco più) a onorevoli retribuzioni di circa 100.000 euro all’anno. Una bella differenza, non c’è che dire.

Per costoro, la regola parlamentare afferma che il trattamento pensionistico scatta solo al maturare del periodo minimo di mandato sopra citato, previo il pagamento di circa 50.000 euro di contributi a carico del parlamentare (circa altrettanti vengono versati dal “datore di lavoro”, ovvero dai contribuenti). Bene, nel caso di scioglimento anticipato della legislatura, per tutti i 690 miracolati il diritto ad incassare vita natural durante allo scoccare dei 65 anni l’assegno di 1.500 al mese sarebbe stato vanificato e i contributi versati inesorabilmente persi.

Qualche esperto azzeccagarbugli, sfogliando tra pandette, regole, cavilli, ecc. ha trovato un precedente che è il salvagente per questi disperati rappresentanti del popolo sovrano. Sta in una decisione che ha riguardato tre senatori che erano subentrati nella carica a legislatura già iniziata. Per costoro, oggettivamente, non avrebbero mai potuto giovarsi delle onorevoli pensioni per i servigi resi alla Repubblica e al popolo sovrano, perché per loro era impossibile maturare l’anzianità minima di carica. Ecco la deroga provvidenziale per cui è stato autorizzato il proseguimento volontario del pagamento dei contributi dovuti – sia personali che quelli del datore di lavoro – fino a raggiungere il montante minimo per fare scattare il beneficio pensionistico. Deroga che ora viene reclamata a gran voce anche da tutti i 690 parlamentari di prima nomina nel caso che la legislatura in corso dovesse sciogliersi anzitempo.

Una conclusione emerge prepotentemente: l’Italia continua ad essere il Paese dove qualcuno è più uguale degli altri, dove per alcuni le norme si applicano pedissequamente anche quando palesemente ingiuste ed errate, mentre per altri s’interpretano nel modo più favorevole ed estensivo. Eppoi, dove si mette il fatto che con circa 100.000 euro di contributi si matura il diritto di incassare una pensione da 1.500 euro netti al mese allo scoccare del 65 anno di età, quando per incassare una cifra analoga un lavoratore che versa con il sistema contributivo deve versarne, se va bene, almeno tre volte tanto se non di più. Ancora una volta, l’Italia è il Paese dei due pesi e delle due misure. Ma vadano tutti a quel Paese onorevoli e senatori raccatta pensioni!

Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.onorevoli pensioni

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