LXV Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia

Ricco programma per il tra Choruses e drammaturgie vocali.  Di Giovanni Greto

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Festival Internazionale di Musica Contemporanea

L’edizione 2021 del Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia ha messo in luce i diversi aspetti stilistici della scrittura vocale per ensemble di voci degli ultimi trent’anni, sostenendo la nascita di nuovi lavori legati alla coralità secondo forme vocali storicizzate e nuove tendenze stilistiche.

Al Teatro Malibran è andata in scena l’opera in due parti “Only the Sound remains” di Kaija Saariaho (Helsinki, 1952), cui è stato assegnato il Leone d’oro “per lo straordinario livello tecnico ed espressivo raggiunto nelle sue partiture corali e per l’originalità del trattamento della voce”.

L’opera interpreta due drammi “No”, antica forma di teatro giapponese, basati sugli adattamenti delle traduzioni curate da Ernest Fenollosa, da parte di Ezra Pound durante la prima guerra mondiale. La prima parte riprende il dramma Tsunemasa, lasciandone invariata la trama. Sodzu Gyokei, sacerdote custode del tempio di Ninnaji, della corte reale, sta pregando per Tajima no Kami Tsunemasa, perito nella battaglia dei mari d’Occidente. Costui era uno dei favoriti dell’Imperatore, che gli aveva regalato un Biwa (il liuto giapponese) chiamato Seizan, “Montagna Blu”, prima della battaglia. Gyokei offre lo strumento all’altare del defunto, compiendo un rito nella speranza di donar pace alla sua anima tormentata dalla visione della battaglia in cui aveva combattuto. A mezzanotte, richiamato dalla melodia delle preghiere compare l’ombra di un uomo, il fantasma di Tsunemasa, il quale racconta in breve la sua storia e chiede a chi lo guarda di abbassare le luci in modo da poter scomparire, cosicchè rimane soltanto il suono della sua voce, che rende felice, anche se solo per un istante, il sacerdote. Sullo sfondo si vedono un danzatore in abiti tradizionali, alberi di Momiji, amatissimi dal popolo giapponese, calligrafie su ampi pannelli, alternate a disegni.

Hagoromo è il dramma scelto nella seconda parte. Un mattino di primavera il pescatore Hakuryo trova uno stupendo mantello di piume appeso al ramo di un pino. Vorrebbe portarselo a casa, ma uno spirito femminile, Tennin, che rappresenta la luna, gli chiede di restituirglielo, altrimenti non può far ritorno in cielo. Il pescatore si lascia commuovere dai lamenti, però in cambio vuol vedere lo spirito esibirsi in una danza celeste. Lo spirito acconsente, ma ha bisogno del mantello per l’esecuzione. Il pescatore non si fida, ma a lui così replica la creatura celeste: “il dubbio è per i mortali. Con noi non esiste inganno”. Il pescatore, vergognandosi, le cede il mantello. Lo spirito danza disegnando i movimenti crescenti e calanti della luna fino a scomparire nella foschia che avvolge la vetta del Fuji-san, la montagna sacra del Giappone.

Ottima la piccola orchestra, costituita da un quartetto d’archi. Elegante ed efficace il commento dei quattro vocalisti del Theatre of Voices.

Riascolto il Theatre of Voices, questa volta diretto da chi lo ha fondato nel 1990, il direttore d’orchestra e artistico Paul Hillier, nella sala delle Colonne a Ca’ Giustinian, sede della Biennale.

Le quattro voci, – Else Torp, soprano; Iris Oja, mezzosporano; Paul Bentley-Angell, tenore; Jakob Bloch Jespersen, basso – hanno dapprima interpretato a cappella “The little Match Girl Passion”, (la passione della piccola fiammiferaia), che vinse il premio Pulitzer nel 2008 come una delle partiture più originali e commoventi degli ultimi anni. Il compositore, David Lang (1957), attratto dalla favola di Hans Christian Andersen, che suggeriva una metafora cristiana nella figura della fiammiferaia, – che muore di freddo nell’indifferenza di una folla distratta dai preparativi della festa per la nascita di Cristo – ha voluto reinterpretarla musicalmente.

Una breve pausa tecnica precede il rientro di tre cantanti – rimane in camerino il basso – assieme a tre musicisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble – Filippo Fattorini, violino; Luca Sanzò, viola; Anna Maria Armatys, violoncello – pronti ad eseguire, nella versione originale  per trio di voci ed archi, uno dei molti capolavori del compositore estone Arvo Part, lo Stabat Mater (1985), un canto liturgico che mette in musica il testo in latino medievale, attribuito a Jacopone da Todi (tra il 1230 e il 1236 circa – 1306). E’ una meditazione sul dolore di Maria ai piedi della croce e un’invocazione alla Vergine, fonte d’amore, per rendere partecipe i fedeli delle sue sofferenze.

Al Teatro alle Tese c’è stato forse il concerto maggiormente ostico all’ascolto, pur se affascinante: la “Wolfli-Kantata”, iniziata nel 2001 e conclusa nel 2006, del compositore Georges Aperghis (Atene, 1945). Protagonisti Neue Vocalsolisten e SWR Vokalensemble, entrambi di Stoccarda, diretti da Yuval Weinberg. La Kantata è stata scritta dall’autore, attratto dalla vicenda umana dell’artista svizzero Adolf Wolfli. Costui, dopo un’infanzia drammatica di sofferenza, sviluppò comportamenti sempre più aggressivi e una morbosa attrazione per le ragazze molto giovani, finché dopo l’aggressione ad un bambino venne rinchiuso fino alla morte nel manicomio di Waldau. Ma qui scoprirà che disegnando e scrivendo testi e partiture musicali riesce a placare i frequenti attacchi violenti. Bravi i solisti ad esprimersi con mezzi diversi –  effetti, suoni, recitativi e parlati ritmici, con sequenze che variano in velocità, oltre al bel contrasto timbrico tra voci maschili e femminili – e il coro, con le voci che si rincorrono, dando vita ad una musicalità inimmaginabile.

E proprio ai Neue Vocalsolisten è stato assegnato il Leone d’argento per la collaborazione creativa con alcuni tra i più grandi compositori viventi e per lo sviluppo di un repertorio vocale a cappella nell’ambito della scrittura contemporanea.

Nella Basilica di San Marco, la Cappella Marciana, diretta da Marco Gemmani, uno dei massimi esperti nello studio e nell’approfondimento del repertorio musicale veneziano, ha eseguito con rispettosa attenzione i nove numeri musicali nei quali si articolano i Canti liturgici (2005) di Valentin Silvestrov, ispirati ai testi integrali della divina liturgia di San Giovanni Crisostomo, il testo di celebrazione eucaristica comunemente in uso nella Chiesa bizantina. Dopo aver attraversato tutte le avanguardie, al pari di tanti suoi contemporanei dell’est europeo (da Schnittke a Pärt),  Silvestrov è tornato alla sorgente della musica trovando la sua voce originale e  raggiungendo così un pubblico sempre più numeroso, come testimoniano i tanti dischi prodotti dalla ECM di Manfred Eicher. “Non scrivo nuova musica. La mia musica è una risposta e un’eco di quello che è già stato scritto”.

Ritorno alla Sala delle Colonne per ascoltare il recital solistico della cantante e musicista albanese Elina Duni. Il recital si intitola “Partir”, dal nome del CD uscito nel 2018 per ECM, nel quale la cantante e musicista affronta temi universali come la partenza, l’esilio, l’abbandono, attingendo al repertorio tradizionale balcanico, yiddish, armeno e del meridione italiano.

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