Dal 2035 stop in Italia per i motori a combustione

La decisione del comitato per la eco-transizione. L’Anfia chiede al governo di ripensare la decisione che rischia di condannare 73.000 posti di lavoro nella filiera automotive. 

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motori a combustione

Il governo ha deciso scimmiottando l’ukaze della Commissione europea contenuta nel pianoFit for 55”: stop alle automobili nuove con motori a combustione interna entro il 2035, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri l’uscita dai motori più inquinanti dovrà avvenire entro il 2040.

Lo ha deciso il Comitato interministeriale per la Transizione ecologica (Cite) con l’obiettivo del taglio delle emissioni inquinanti nel percorso delle politiche nazionali contro il riscaldamento globale e il cambiamento climatico in linea con le indicazioni dell’Unione europea che chiede di tagliare i gas serra del 55% entro il 2030. L’Italia così segue quanto già fatto da diversi Paesi europei, Spagna, Francia e molti altri, che hanno definito una data limite dopo cui non sarà più possibile commercializzare mezzi a combustione interna anche se parziale.

I ministri della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, e dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, hanno definito le tempistiche di sostituzione dei veicoli con motori a combustione interna.

Uniche realtà a sfuggire dalla ghigliottina dell’elettrificazione forzata potrebbero essere il mondo delle supercar sportive costruite in meno di 10.000 pezzi all’anno che già oggi fruiscono di alcune esenzioni in fatto di emissioni inquinanti.

Una decisione che non tiene conto del principio di neutralità tecnologica per conseguire l’obiettivo della riduzione delle emissioni, con il governo Draghi che non trova di meglio che scimiottare la via tracciata da una Commissione europea che ha deciso la soppressione del motore termico nella falsa illusione che la mobilità elettrica sia ad inquinamento zero, quando è vero il contrario.

Da un serio governo italiano, invece di appecoronarsi a Bruxelles, sarebbe stato meglio impegnarsi per cambiare gli aspetti più demagogici del pianoFit for 55” che finiscono solo per essere un boomerang economico, sociale e pure ambientale. Soprattutto dal ministro leghista Giorgetti – a differenza dei due tecnici Cingolani e Giovanninisarebbe stato lecito aspettarsi un comportamento diverso, invece di allinearsi alla strage legalizzata di imprese e di posti di lavoro, senza trascurare il gettito tributario di cui la filiera automotive italiana è una dei principali contributori.

Proprio da parte dell’associazione dei costruttori di veicoli e di parti Anfia viene l’appello al governo di rivedere la decisione appena presa che vieta imotori a combustione: «la transizione produttiva di un settore chiave per l’economia dell’Italia non può essere fatta di annunci sulla stampa. A nome di tutte le imprese della filiera, degli imprenditori italiani e dei lavoratori del settore automotive, auspichiamo un ripensamento, o comunque un chiarimento, su quanto espresso nella nota di ieri e, soprattutto, chiediamo al Governo italiano di fare quello che i governi degli altri Paesi hanno già fatto: dare delle certezze alla filiera e definire al più presto la road map italiana per la transizione produttiva e della mobilità sostenibile».

Per Anfia il comunicato del Cite «ha messo in serio allarme le aziende della filiera produttiva automotive italiana – e, probabilmente, anche tutti gli imprenditori e le decine di migliaia di lavoratori che rischiano il posto a causa di un’accelerazione troppo spinta verso l’elettrificazione – non essendo coerente con le posizioni espresse, ancora poche ore prima, da autorevoli esponenti del Governo».

Anfia cita la Clepa, l’Associazione europea della componentistica, che in uno studio quantifica «i danni, occupazionali ed economici, derivanti dalla possibile messa al bando dei motori a combustione interna al 2035 e evidenzia che l’Italia rischia di perdere, al 2040, circa 73.000 posti di lavoro, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030».

La conclusione dell’Anfia è che «se rispecchia realmente le posizioni del Governo italiano, il CITE non può non aver tenuto conto di questi impatti e non può aver preso e comunicato alla stampa una decisione così forte senza aver contemporaneamente predisposto un piano di politica industriale per la transizione del settore automotive, operativo sin da oggi».

Un segnale di rinsavimento che si spera non sia tardivo arriva dal senatore Paolo Arrigoni, responsabile dipartimento Energia della Lega: «il divieto ai motori a combustione sancito dal Cite sarebbe un grave errore. Il “Fit for 55non è un dogma! Una decisione di questo genere, se confermata, rappresenterebbe un’entrata a gamba tesa nell’economia del nostro Paese. Chi investirebbe più nell’automotive e nel settore della raffinazione che si stava riconvertendo nei carburantilow carbon”? A che servirebbe costruire la filiera dei biocarburanti se poi non si hanno i motori? Così ci consegneremmo totalmente alla Cina che ha anche il monopolio dei minerali critici e delle terre rare (per le batterie) con minimi o nulli benefici per l’ambiente. L’ideologia ambientalista del “solo auto elettricava abbattuta – continua Arrigoni -: è necessario battersi affinché l’Europa abbandoni il bluff della misura sulle emissioni al tubo di scarico delle auto e adotti la valutazione del ciclo di vita delle stesse, il LCA (Life Cycle Assessment)».

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