Se la guerra in Ucraina durasse a lungo, inflazione al rialzo con Pil al ribasso

Simulazione del Centro studi di Unimpresa che stima il caro prezzi al 7% e la crescita 2022 al 3,4%.

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Se la guerra in Ucraina durasse a lungo, il Pil italiano potrebbe perdere 0,7 punti percentuali nel 2022, fermandosi al 3,4%, e 0,9 punti percentuali nel 2023, fermandosi all’1,9%, mentre l’inflazione salirebbe, rispettivamente, di 1,2 punti percentualiaggiuntivi nel 2022, fino al 6,2%, e di 3,5 punti percentuali in più l’anno prossimo, fino al 7%. È quanto evidenzia il Centro studi di Unimpresa, in un documento in cui descrive due scenari relativi alla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia e alla relativa durata.

Secondo Unimpresa, se la guerra in Ucraina dovesse chiudersi rapidamente, l’impatto sul Pil italiano sarebbe di 0,5 punti percentuali nel 2022, fermandolo al 3,6%, e nullo nel 2023, lasciandolo al previsto 2,8% mentre l’inflazione, salirebbe di un punto percentuale nel 2022, arrivando al 6%, e di 0,7 punti percentuali nel 2023, arrivando al 5,5%.

«L’economia italiana crescerà comunque sia nel 2022 che l’anno prossimo, ma crescerà meno di quanto previsto dalla Commissione europea, insomma c’è in ogni caso da essere particolarmente preoccupati – commenta il presidente onorariodi Unimpresa, Paolo Longobardi -. Sul piano economico ci saranno danni enormi per la Russia e per l’Unione europea, danni che deriveranno dalla mancanza di materie prime e crollo generale dei consumi, e anche di turismo ed export, che provocheranno conseguenze negative per tutte le principali economie europee: Germania, Francia e la stessa Italia».

Per Longobardi «si tratta di danni e perdite per settori cruciali come le auto o il settore alimentare. L’Italia, che dalla Russia importa il 40% del gas comprato all’estero, rischia più di altri, in misura maggiore in quattro ambiti: il costo dell’energia delle imprese che potrebbe portare a una riduzione della produzione industriale; rischia per il riscaldamento delle abitazioni, anche se l’inverno è stato più mite di altri e per fortuna sta per finire, non dovrebbero esserci colpi di coda; poi potrebbero esserci effetti negativi per la mancanza di materie prime, a cominciare dal gas, per quanto riguarda la produzione di energia elettrica; infine, ci sono altri settori importanti che ne risentiranno come l’esportazione di vini pregiati, la moda e il lusso, ma da questo punto di vista, bisogna vedere se le alternative studiate dal governo, a cominciare dall’intenzione di aumentare il gas comprato dall’Algeria attraverso l’Eni, saranno efficaci e soprattutto se lo saranno in tempi relativamente rapidi».

Secondo il Centro studi di Unimpresa, in pochi giorni si sta rovesciando il mondo economico e finanziario, con gli equilibri destinati a cambiare strutturalmente e per un lungo periodo. I social media internazionali stanno chiudendo le loro attività in Russia che generano importantissimi profitti. Hanno già annunciato la chiusura alcune fabbriche di auto come Volkswagen o grandi produttori alimentari, come Nestlé.

Le grandi multinazionali stanno vendendo le loro partecipazioni azionarie in società russe (per esempio British Petroleum), ma anche i fornitori di tecnologia e di microchip non esporteranno più neanche un dollaro di prodotti in Russia che rappresentava un mercato redditizio. E grandi marchi mondiali hanno immediatamente cancellato la Russia, come Ikea, Nike e Adidas.

Tutte le imprese occidentali rischiano di perdere all’improvviso un mercato fondamentale per il loro fatturato, un mercato dove magari avevano avviato investimenti importanti. Le banche europee presenti in Russia si sono trovate all’improvviso paralizzate. I due principali gruppi bancari italiani (parliamo di circa 25 miliardi di euro di esposizione verso la Russia ovvero prestiti verso imprese russe) stanno facendo valutazioni strategiche sulla loro permanenza in quel mercato.

Questa situazione sta portando alla luce, inoltre, due grandi contraddizioni per l’Europa e per la Russia. Per l’Europa, lesanzioni sono un’arma pericolosa e in quanto essa ha una enorme dipendenza energetica dal gas russo che rende in parte contraddittorio il suo comportamento: prova a eliminare, con una bomba atomica-finanziaria, una nazione che è allo stesso tempo un fornitore vitale di energia. La Russia incassa ogni giorno 700 milioni di dollari dalla vendita di materie prime, il gas in particolare. E in qualche modo continuerà a farlo perché l’esclusione dal circuito Swift non riguarda i pagamenti di gas. Ma il sistema economico e finanziario russo appare ormai isolato e non si sa quanto a lungo potrà andare avanti, tenendo conto che le agenzie di rating americane hanno declassato a “spazzatura” il debito pubblico della Russia che oggi è un gigante militare, ma un nano economico con Pil inferiore a quello italiano e una popolazione più che doppia.

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