L’apertura del Tour 2022 di Vasco a Trento: un evento in linea con l’immagine del Trentino?

A “Bianco & Nero” ci s’interroga sulle ricadute dell’evento fortissimamente voluto dai vertici leghisti della provincia. L’italia sempre più una repubblica dei bonus: ne sono attivi ben 40. 

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In questa puntata de “Bianco & Nero”, l’esperto in comunicazione e analisi politica, Gianfranco Merlin, e il direttore de “il NordEst Quotidiano”, Stefano Elena, s’interrogano sulle ricadute per l’immagine del Trentino dell’evento Vasco Rossi fortissimamente voluto dal vertice della provincia di Trento, il leghista Maurizio Fugatti.

L’apertura del Tour 2022 dopo due anni di astinenza del settantenne cantautore da Zocca è stata accompagnata da un fortissimo intervento economico della Provincia di Trento che ha investito direttamente nell’allestimento dell’area circa 3 milioni di euro, oltre a stanziarne almeno un altro milione per tutti i servizi di supporto. Cui vanno aggiunti i costi del personale (dalla protezione civile ai Vigili del fuoco, a quelli della Polizia) chiamato ad allestire l’evento e ad assicurare la gestione. A spanne, tra costi diretti ed indiretti (gli stipendi del personale che vanno su altri capitoli di spesa), il costo per le casse pubbliche s’avvicina più ai 5 milioni di euro che ai 4. Il tutto per quali ricadute?

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Confcommercio Trentino per bocca del suo presidente, Gianni Bort (personaggio noto alle cronache economiche per avere un ventaglio di poltrone, incarichi ed emolumenti inverosimile) ha parlato di ricadute sul tessuto economico locale per sei milioni di euro, quasi tutti legati all’ospitalità e ai servizi di ristorazione per i 120.000 dell’evento blaschiano.

Ad evento Vasco chiuso, la realtà pare decisamente differente, con la quasi totalità dei fans del musicista accorsi solo nel pomeriggio del venerdì, ma con la città di Trento preventivamente bloccata già dal giovedì, con tanti residenti che si sono ben guardati dall’arrivare in città lasciando i negozi e il mercato settimanale praticamente deserti. E per il giorno successivo, il venerdì dell’evento, con tantissime aziende che hanno preferito tenere abbassate le serrande per il rischio di non vedere né clienti né dipendenti impossibilitati dal raggiungere le sedi di lavoro per via dei divieti alla circolazione e ai divieti di parcheggio, riservati tutti a coloro che hanno pagato il biglietto di sosta (40 euro) oltre a quello dell’evento (da 35 a 75 euro, a seconda della posizione). Chi ha fatto affari sono stati i venditori autorizzati all’interno dell’area del concerto, dove in tanti hanno denunciato il prezzo da strozzinaggio delle bevande (una birra anche 8 euro!) e degli alimentari da asporto.

Fatto sta, che di soldi sonanti la città ne ha visti ben pochi, decisamente meno di quelli strombazzati, tanto che se l’evento Vasco è stato voluto per dare un sostengo alle attività di servizio si sarebbero potuti impiegare i soldi investiti dalla Provincia in sovvenzioni dirette. Che avrebbero avuto anche il vantaggio di non cozzare frontalmente con l’ambiente e l’immagine di sostenibilità che il Trentino si è costruito negli ultimi trent’anni.

Che senso ha fare costose campagne di promozione patinate e video all’insegna di “Vieni in Trentino” o “Respira in Trentino” (con quest’ultima che cozza con un’aria non sempre alpestre, specie nei vari fondovalle frequentati dai turisti), oppure allestire eventi come “Suoni delle Dolomiti”, quando si buttano milioni in un evento spot che ha impattato decisamente sull’ambiente in fatto di emissioni inquinanti dirette (i megawatt elettrici assorbiti dalle apparecchiature acustiche, luci e video del palco) ed indirette (i 120.000 sono stati in larghissima parte fans provenienti da tutt’Italia), oltre che di congestione del traffico? Sarebbe bello saperlo.

Una cosa è certa: l’organizzazione tecnica della Protezione civile, dei Vigili del fuoco, della Polizia e della sanità trentina ha superato brillantemente la prova del fuoco, gestendo l’evento in modo esemplare.

Altro tema è quello geopolitico, con gli effetti della guerra in Ucraina e gli italiani che mordono sempre più il freno pacifista, terrorizzati dal prolungarsi di un conflitto che rischia di portare l’inflazione alle stelle, limitare gli approvvigionamenti energetici ed alimentari. Brilla la politichetta tricolore, incapace di avere adeguato spessore internazionale – a partire dal ministro degli Esteri che è quel che è, ovvero trascurabile – e dei vari leader nazionali che traccheggiano con la rapidità dell’ago di un sismografo in un terremoto di magnitudo 7.

Infine, l’Italia si conferma una repubblica dei bonus: ne sono attivi ben 40 per un controvalore di oltre 110 miliardi di euro, che contribuiscono al voto di scambio e all’incremento della spesa pubblica, spesso senza un adeguato ritorno. Mentre il Paese si avvia a tagliare la soglia storica dei 1.000 miliardi di spesa pubblica, più che a rincorrere nuovi bonus e disavanzi, sarebbe meglio che si iniziasse a fare una seria ed approfondita revisione della spesa pubblica tagliando e sfoltendo sprechi, clientele, manomorte e inefficienze varie. Ne va della sopravvivenza del Paese, oltre che di quella dei contribuenti, ormai ridotti a più che limoni (e arance) spremuti.

Buona visione.

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