Un impianto autorizzato, unico in Italia, di trasformazione della lana di pecora in fertilizzante organico sotto forma di pellet con una capacità di produzione di circa 30-40 chilogrammi all’ora che utilizza un macchinario destinato agli allevatori di ovini del Friuli Venezia Giulia, prevalentemente dell’area montana, nell’ottica dell’economia circolare: è uno dei primi risultati del progetto “Agrilana in pellet”, nato nell’ambito di una più ampia collaborazione tra l’Università di Udine e l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale (Asufc), sostenuta dalla Fondazione Friuli.
Obiettivo della collaborazione è contribuire a sostenere le imprese locali per lo sviluppo e la valorizzazione della multifunzionalità nel settore dell’agricoltura sociale, per attività e ricerche nell’ambito agroecologico e delle filiere zootecniche di piccola scala. Attività e sperimentazioni della collaborazione sono stati presentati nella sede di Pagnacco di Udine dell’Azienda agraria dell’Ateneo friulano alla presenza del rettore, Roberto Pinton, del direttore generale dell’Asufc,Denis Caporale, del presidente della Fondazione, Giuseppe Morandini e dei direttori del Dipartimento, Edi Piasentier, e dell’Azienda agraria, Piergiorgio Comuzzo.
Nato tre anni fa dalle ricerche dell’Ateneo friulano, il progetto “Agrilana in pellet”, sostenuto dalla Fondazione Friuli, punta a dar corpo a una realtà aziendale, la startup Agrivello, che ha concorso a realizzare e gestirà l’impianto di trasformazione in collaborazione con l’Università con il fine di produrre fertilizzante organico su scala regionale, almeno inizialmente. La responsabile di Agrivello è Chiara Spigarelli, dottore di ricerca in Scienze e biotecnologie agrarie dell’Ateno udinese. Attualmente è in fase di brevettazione la filiera produttiva.
L’impianto trasforma il 100% della lana con un rapporto uno a uno, cioè un chilogrammo di lana viene convertito in uno di pellet. La produzione oraria può variare per la disomogeneità della lana, proveniente da razze diverse e da contesti diversi. Questa non standardizzazione è un fattore positivo in quanto permette di recuperare qualsiasi tipo di lana.
L’impiego nel settore agricolo costituisce una innovativa alternativa rispetto alle classiche destinazioni della lana, perché è in grado di valorizzare al meglio le sue molteplici proprietà. La lana, trasformata in pellet, può essere utilizzata come fertilizzante organico, perché è una sostanza ammendante, a lento rilascio di elementi nutritivi per le piante, con forti capacità di imbibizione e ritenzione dell’acqua. Il pellet può essere utilizzato su vaso o terreno libero, per qualsiasi tipo di piante: orticole, da frutto o da balcone. Si presenta come un concime organico che rilascia gradualmente azoto (N 9-10%) e migliora la qualità del terreno. Sono inoltre in corso delle attività sperimentali volte alla valorizzazione della lana come fertilizzante in pellet.
“Agrilana in pellet” dà una risposta pratica ad uno dei problemi degli allevamenti di pecore in Friuli Venezia Giulia, ben oltre 650 con circa 20.000 capi. Questa condizione favorisce la permanenza della popolazione, soprattutto in area montana.
La lana è una fibra nobile. Tuttavia, le pecore non sono tutte uguali e i tipi genetici più diffusi in Italia non sono specializzati nella produzione di lana per uso tessile industriale. Per essi si devono prevedere forme di utilizzo alternative. Perché tutte le pecore devono essere tosate regolarmente, almeno una volta all’anno, per garantire il benessere animale. Questa esigenza può determinare, e nei fatti frequentemente determina, un problema ambientale connesso allo smaltimento della lana che, quando non ha un suo canale di utilizzo, si configura come materiale di scarto, che dovrebbe essere raccolto da ditte specializzate nella gestione dei sottoprodotti di origine animale.
I processi di tosatura e di smaltimento della lana costituiscono in questo caso un costo significativo per gli allevatori, pari a circa 6 euro/capo/anno. La lana oggi si può quindi presentare non come una risorsa, ma come un problema serio, soprattutto per l’allevatore di piccole dimensioni. Questo tipo di allevatore, infatti, anche se vuole sostenere i costi di tosatura e trasporto, non ha, di fatto, né la possibilità di conferire la fibra naturale all’industria tessile, edile o per altri impieghi, né un facile accesso al servizio di smaltimento della lana di scarto. Ne deriva il conseguente rischio di una dispersione incontrollata nell’ambiente per interramento, pratica inquinante, o insacchettamento improprio per l’invio in discarica o, peggio, l’abbandono in discariche abusive che “Agrilana in pellet” sia propone di evitare.
Il riutilizzo del sottoprodotto lana per produrre fertilizzante organico in forma di pellet è un progetto di economia circolare per la valorizzazione della lana. Allo stesso tempo però costituisce un esempio concreto di organizzazione e riorganizzazione delle poche risorse produttive del territorio delle aree interne. In particolare di quello montano e pedemontano, al quale è prioritariamente rivolto, secondo una visione multi-attoriale e multifunzionale capace di creare nuovo valore economico e sociale, attraverso la costruzione di sistemi a rete nei quali siano inclusi non solo i produttori, ma anche gli stessi residenti. Una rete che prende le mosse dal settore primario ma che ha una visione intersettoriale, che si propone di integrare agricoltura, turismo, innovazione, servizi alla persona, filiere produttive fortemente collegate al territorio. Una rete per gestire il paesaggio, riattivare la simbolica dei luoghi, proporre turismo esperienziale, custodire i saperi locali, porre attenzione alla genuinità del prodotto e al benessere delle persone, condividere e cooperare.
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