La politica italiana continua a comportarsi come quei passeggeri del Titanic che continuava imperterrita a ballare mentre la nave stava affondando dopo il cozzo con un iceberg: a meno di due mesi dalle elezioni politiche del 25 settembre, nonostante un debito pubblico mostruoso attestato oltre quota 2.850 miliardi di euro, i partiti scialano continuando a suonare e danzare la stessa musica, quella della spesa clientelare e del debito pubblico a tutta forza.
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Grazie al maggiore gettito Iva dovuto all’impennata dell’inflazione, il governo Draghi in amministrazione ordinaria si è trovato in cassa maggiore gettito per 14,3 miliardi di euro. Alla notizia, come un riflesso pavloviano, è scattata la richiesta dei partiti a distribuire in mille rivoli di spesa clientelare l’inaspettato tesoretto: il bonus energetico da 200 euro sarà esteso a categorie prima non previste, saranno prorogati gli sconti sulle accise sui carburanti fino a tutto ottobre, sarà anticipata al terzo trimestre la rivalutazione delle pensioni che sarebbe scattata al 1 gennaio, così come si punta ad un taglio del cuneo fiscale sulle buste paga dei lavoratori dipendenti. O al bonus di 60 euro per gli abbonamenti al trasporto pubblico con domanda che scatta, guarda un po’, proprio il primo settembre.
E che dire dell’infornata di 94.000 nuovi docenti e 11.000 unità di personale amministrativo e 361 nuovi dirigenti a tempo indeterminato in una scuola che va inesorabilmente verso un crollo degli studenti, complice la perdurante crisi demografica italiana?
Come si vede, la nuova spesa clientelare “bagna” i soliti noti, lavoratori dipendenti e pensionati. Poco o nulla per il lavoro autonomo, che da par suo sta ancora aspettando l’erogazione del bonus energetico da 200 euro che, forse, potrà incassarlo ad ottobre prossimo. Come se Partite Iva e professionisti vari non avessero gli stessi problemi esistenziali degli altri cittadini a reddito fisso nel fare la spesa e pagare le bollette.
Di più: da un governo serio e da una politica non fanfarona sarebbe stato logico usare i 14,3 miliardi del “tesoretto” per pagare i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori che, secondo i conteggi della Cgia, ammontano a circa 60 miliardi. Ecco, poteva esserci la liquidazione di un anticipo del dovuto per dare ossigeno e liquidità a molte aziende sull’orlo del baratro del fallimento. Fallimenti indotti non per incapacità dell’imprenditore, ma per lo Stato che non paga i propri debiti. Sarebbe stata una spesa socialmente ed economicamente di valore più elevato che anticipare i bonus a lavoratori dipendenti e pensionati, già sufficientemente tutelati.
Insomma, sotto il cielo delle elezioni nulla di nuovo: marchette elettorali avanti a tutta forza a favore dei soliti noti. E pazienza se il nuovo governo si troverà sulle spalle nuovo debito per 20 miliardi.
Dov’è il massimo arbitro della Repubblica sempre troppo silenzioso quando i partiti segnano falli innominabili al corretto gioco dell’equilibrio dei conti pubblici? Quando il Quirinale si deciderà a fischiare lo stop al gioco allo sfascio dei partiti?
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