L’aumento dei tassi mina vagante dell’economia europea (e italiana)

Cresce il numero degli insoluti, specie tra i crediti pandemci garantiti dallo Stato. Senza considerare che l’Eurostat impone la riqualificazione dei crediti da Superbonus come debito pubblico.

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aumento dei tassi

L’aumento dei tassi Bce appena approvato di 0,50% e quello annunciato tra 6 settimane a metà marzo di altrettanti 0,50% porta il costo del denaro in Europa allo 3,5%, valore storicamente basso, ma sufficiente per fare sballare i conti delle famiglie con mutui a tasso variabile o acquisti rateizzati e per le imprese con finanziamenti attivati.

Il costo del denaro, unitamente ad un’inflazione alta seppur in graduale riduzione, rischia di ridurre ulteriormente la propensione all’acquisto delle famiglie, rallentando la crescita economica già molto bassa (il IV trimestre 2022 ha chiuso in negativo dello 0,1%). Il problema si amplia di molto con il debito pubblico, dove secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, il costo del servizio interessi con l’aumento dei tassi sulla mostruosa montagna di 2.750 miliardi si amplia di circa 29 miliardi nel triennio.

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Ma poi c’è il problema della restituzione dei prestiti pandemici garantiti dallo stato accesi da moltissime imprese che, secondo le stime più recenti, potrebbe generare un 30% di finanziamenti insoluti, con ulteriore aggravio per il debito pubblico di altri 15 miliardi circa. Cui potrebbero aggiungersi anche quei 100 miliardi circa legati ai Superbonus per l’edilizia, che l’Eurostat ha sentenziato che debbono essere computati nei conti pubblici alla voce debito, ampliando quello già stratosferico italiano.

In questo contesto viene ad essere realtà anche l’embargo all’importazione di prodotti petroliferi dalla Russia che comporterà non pochi problemi sull’approvvigionamento e sui prezzi del Diesel, visto che l’Europa (e l’Italia) è largamente debitrice dalle importazioni russe per circa il 40% dei consumi di gasolio. E se il gasolio viene a mancare o aumenta di molto (le quotazioni sono attese schizzare dai 1.000 a 1.600 dollari/tonnellata) l’intera economia subirà nuove ripercussioni negative, a partire dall’inflazione con i costi di trasporto al rialzo o i costi di riscaldamento nelle località non servite dalla rete metanifera.

Dopo i primi 100 giorni tutto sommato tranquilli, il governo Meloni è atteso ad una nuova prova di tenuta, dove molto dipenderà dalle situazioni internazionali: dal conflitto in Ucraina all’andamento delle quotazioni delle materie prime sui mercati internazionali.

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