L’automotive europeo è a un bivio, perché la scelta unilaterale imposta demagogicamente da una politica avulsa da ogni cognizione tecnica, economica e pure ambientale che ha imposto l’uscita dai motori a combustione a partire dal 2035 solo in Europa per abbracciare la mobilità solo elettrica è controproducente e sta iniziando a causare pesantissimi effetti economici, occupazionali e sociali.
Ne è convinto il ministro all’Industria, Adolfo Urso che il prossimo 25 settembre a Bruxelles è intenzionato a dare battaglia sull’auto elettrica in occasione di un vertice sul settore promosso dall’Ungheria. Urso ha anticipato a Cernobbio la proposta di anticipare alla prima parte del 2025 la revisione sullo stop alla produzione di veicoli endotermici al 2035, prevista originariamente per il 2026 nell’ambito del “Green Deal” dell’Ue. Urso rilancerà la proposta il giorno successivo al consiglio dell’Ue sulla competitività e prevede di contattare gli altri ministri europei, ma prima si deve insediare il nuovo governo francese.
Che sull’automotive europeo i tempi siano maturi per procedere con una revisione allo stop all’endotermico al 2035 esclusivamente in Europa lo sostiene anche il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini, che sempre a Cernobbio chiarito che «non siamo solo noi a esplicitare qualche dubbio sul tutto elettrico dal 2035. Adesso si è accorta anche la Germania e quindi immagino che saremo più fortunati».
Il problema secondo Urso «non è solo italiano, è europeo» ed è diventato d’attualità in Germania, dove Volkswagen, secondo produttore mondiale di auto dopo Toyota, ha ventilato per la prima volta dopo 87 anni di storia la chiusura di impianti di produzione di veicoli e di componenti «se non si interviene rapidamente», ha precisato l’amministratore delegato del colosso di Wolfsburg.
In questo quadro, secondo Urso, l’Europa «rischia il collasso» a causa della concorrenza dei costruttori cinesi, favoriti dalla maggior disponibilità di materie prime per le batterie e dai costi di produzione più bassi, proprio mentre i gruppi europei si devono attrezzare per convertire all’elettrico le loro linee di montaggio entro il 2035.
«Il processo del “Green Deal” – spiega Urso – prevede una clausola di revisione entro la fine del 2026, ma chiunque conosca il sistema produttivo sa che gli investimenti si fanno se c’è certezza». Avanti di questo passo, a suo dire, diventa un problema la sopravvivenza dell’intera industria automobilistica europea, «incapace di sostenere il rischio che le è stato imposto senza adeguate risorse e investimenti pubblici. Chiedo di anticipare questa decisione – ha sottolineato – perché se lasciamo l’incertezza fino al 2026, si rischia un’ondata di scioperi e proteste europee come hanno fatto gli agricoltori e rischiamo il collasso dell’industria. Per questo – ha proseguito Urso – chiederò l’anticipo per la prima parte del prossimo anno, per rivedere il processo, la tempistica e la modalità per giungere alla sostenibilità ambientale nel nostro continente».
Ma se la proposta italiana non scalfirà le tetragone certezze dei pasdaran del “Green Deal”, Urso richiama l’Europa ad accompagnare con investimenti pubblici l’automotive europeo: «se si vogliono mantenere tempi stringenti, occorre sostenere l’industria con imponenti risorse pubbliche europee, con un piano tipo Pnrr per l’automotive e comunque la tempistica deve essere adeguata alla sostenibilità economica produttiva e sociale del nostro Paese».
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