Autonomia, per Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto avviato negoziato su materie non Lep

E sui Lep a geometria variabile basati sul reale costo della vita dei territori le opposizioni fanno bagarre.

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Il ministro agli Affari regionali e autonomie, Roberto Calderoli.

Passettino avanti per l’autonomia differenziata per le regioni che la chiedano: il ministro agli Affari regionali e autonomie, Roberto Calderoli, in audizione davanti alla commissione sul federalismo, ha comunicato che «dopo l’entrata in vigore della legge n. 86, quattro regioni, Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto, hanno presentato richiesta di avvio dei negoziati ed è stato avviato il procedimento previsto dalla legge con riguardo alle materie e ambiti di materie non-Lep».

Ora la procedura seguirà il suo percorso istituzionale e amministrativo che potrebbe compiersi nel giro di qualche mese. Ma a scaldare la battaglia politica sull’autonomia è stato il Comitato tecnico del Clep presieduto da Sabino Cassese chiamato a valutare i fabbisogni standard Lep e la loro parametrazione alle necessità del territorio.

«E’ inesatta la notizia secondo cui nel corso della riunione plenaria del 25 settembre si procederà alla approvazione di un documento prodotto da 12 esperti per determinare le modalità di calcolo dei bisogni standard, essendo in realtà la riunione finalizzata alla illustrazione e condivisione nell’ambito del Clep nella sua composizione plenaria di una procedura per la classificazione delle ipotesi Lep in una ottica funzionale al successivo compito della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (Ctfs), sempre a supporto della Cabina di regia Lep, per garantire l’equilibrio tra fabbisogni standard e reali disponibilità finanziarie» ha ribadito Calderoli alla Commissione.

«In coerenza con il proprio ruolo di raccordo con la Ctfs il sottogruppo 12 (del Clep – ndr) provvederà ad una analisi tecnica sui diversi approcci metodologici per la determinazione dei costi e fabbisogni – prosegue Calderoli -. Sarebbe bastata la lettura del decreto legge 2010, ad esempio l’articolo 5 per il riferimento delle caratteristiche territoriali, per evitare l’inutile polverone sollevato. L’adozione del criterio dei fabbisogni standard nella assegnazione delle risorse finanziarie agli enti territoriali permette il superamento del vecchio criterio della spesa storica. Parametro che non è in linea generale necessariamente coerente per la tutela effettiva e uniforme dei diritti civili e sociali nel territorio nazionale».

Per Calderoli «l’uso del criterio dei fabbisogni standard può condurre ad un potenziamento dei servizi erogati sul territorio con l’assegnazione di risorse aggiuntive laddove il fabbisogno standardizzato sia superiore alla spesa storica: spesso alla insularità, alle isole minori, alle montagne, alle aree marginali. E’ proprio per quello che si parla di fabbisogno standard, non certo per aiutare qualcuno a vantaggio di altri. La stima dei fabbisogni e dei costi standard vale a stabilire l’ammontare delle risorse necessarie all’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi costi. Allo stato non è ancora avvenuta, perché non è stato definito un livello essenziale e minimo delle prestazioni da garantire».

Parlare quindi di «un pregiudizio ai diritti costituzionali rimane una asserzione del tutto priva di fondamento rispetto alla attività del Clep. Al contrario – ribatte Calderoli – il metodo di calcolo sotteso ai fabbisogni standard è diretto a considerare l’effettiva necessità finanziaria di un ente e a garantire un adeguato livello dei servizi. Il Clep svolge un ruolo istruttorio, sottopone delle ipotesi al Ctfs che, insieme a Istat e Sose, formuleranno delle ipotesi. Ma la definizione dei livelli essenziali dei costi e fabbisogni standard, come dice Giorgetti, è il punto più alto della politica e quindi – conclude Calderoli – non spetta ad organismi tecnici, ma spetterà attraverso un atto di rango primario ancorché una delega con successivo decreto legislativo».

 

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