Con la decisione di Eni di dismettere Versalis «l’Italia sarà il primo paese in Europa a uscire dalla produzione di etilene e ad abbandonare la produzione della chimica di base e questo avrà un impatto diretto e per l’indotto, su tutto il territorio nazionale, che riguarderà 20.000 persone che perderanno il lavoro. Una catastrofe industriale per la produzione chimica».
Questa la denuncia del coordinatore delle aree politiche industriali della Cgil, Michele Azzola, e del segretario della Filctem Cgil, Marco Falcinelli, in un incontro con i giornalisti sulla crisi della chimica di base in Italia.
«Il piano di Eni non è di riorganizzazione, ma di dismissioni» della chimica di base hanno rilevato i due sindacalisti puntando l’attenzione contro il governo e la controllata Eni che «condannano l’industria italiana al declino» decidendo di andare ad acquistare all’estero. «Un errore affidarsi al mercato ed esporre il Paese alla dipendenza dall’estero – sostengono i due sindacalisti -. La scelta di Eni di chiudere anche gli ultimi due impianti di cracking a Priolo (Siracusa) e Brindisi, dopo quelli di Porto Torres, Gela e Porto Marghera, mette a rischio anche i siti di Ferrara, Mantova e Ravenna».
Il cracking (processo chimico per estrarre materie prime utilizzate per produrre ogni tipo di plastica), è «fondamentale per l’80% delle materie che usiamo ogni giorno, è l’industria dell’industria». Il governo, hanno aggiunto Azzola e Falcinelli, «avvalora il piano di Eni ed è incomprensibile perché dovrebbe invece chiedere un piano di sviluppo».
Per gli esponenti della Cgil «non si comprende come mai a luglio 2023 Eni abbia presentato un piano di investimenti per 1,5 miliardi per i vari siti che ha stravolto dopo 6 mesi, forse perché non ritenuto remunerativo per gli azionisti senza pensare ai lavoratori, all’industria e al Paese». Dopo alcuni tavoli tecnici, a fine gennaio è atteso un tavolo politico in cui la Cgil ribadirà «con forza la totale contrarietà a questo Piano».
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