La recente sentenza della Corte costituzionale che ha stoppato le ambizioni dei presidenti delle regioni ordinarie di correre per un terzo mandato pubblicata proprio nello stesso giorno che la Provincia autonoma di Trento approvava una legge di modifica al proprio sistema elettorale consentendo il terzo mandato al presidente leghista in carica Maurizio Fugatti nonostante la contrarietà di Fratelli d’Italia a livello locale e nazionale, ha dato il destro ai deputati del Pd Dario Parrini, Andrea Giorgis e Tatiana Roic di interrogare il ministro per le autonomie ed affari regionali, Roberto Calderoli.
Nella loro interrogazione, Parrini, Giorgis e Roic chiedono lumi su cosa intenda fare il governo Meloni relativamente alle autonomie speciali, non interessate dagli effetti della sentenza sul terzo mandato, sottolineando la «sostanziale identità contenutistica» tra la legge trentina e quella campana ed evidenziando il «principio di uniformità nell’applicazione dei limiti di rieleggibilità delle cariche monocratiche sul territorio nazionale».
Tra l’alto, la stessa premier Giorgia Meloni si è sempre detta contraria al terzo mandato, tanto da proporre un simile vincolo anche nel progetto di riforma costituzionale del premierato, iniziativa che peraltro pare essersi arenata nelle sabbie mobili parlamentari.
Non solo: anche lo stesso presidente della Corte costituzionale, Giovanni Amoroso, nel diffondere la nota relativa alla sentenza con cui si cassava il terzo mandato per le regioni ordinarie, affermava che il dispositivo non si applicava alle regioni autonome perché di questo la Corte costituzionale non era stata interessata dal ricorso proposto dal governo nei confronti della legge della regione Campania, evidenziando che l’aspetto relativo alla legittimità o meno del terzo mandato per le regioni autonome avrebbe potuto essere valutato dalla Corte se questa ne fosse stata richiesta. Richiesta che può giungere dallo stesso governo o dalle stesse regioni ordinarie, magari da quelle a guida Pd, o da qualche giudice.
Gli interroganti chiedono a Calderoli «nell’ipotesi in cui non si ritenga opportuno procedere in tal senso, di conoscere le motivazioni sottese a tale decisione». Motivazioni che potrebbero essere di eminente ordine politico, visto che proporre l’impugnativa entro 60 giorni dall’approvazione della legge trentina da parte del governo Meloni aprirebbe sicuramente un ulteriore motivo di frizione tra Fratelli d’Italia e Forza Italia, da un lato, e la Lega Salvini, dall’altro, già acuitesi dopo la pubblicazione del papiello “Fratelli di chat” con giudizi al vetriolo da parte dei maggiorenti di FdI nei confronti delle gerarchie salviniante.
I motivi per proporre l’impugnazione della legge elettorale trentina ci sarebbero tutti, sia in punta di diritto – come ha fatto pure intendere lo stesso presidente della Corte costituzionale – che, soprattutto, sul fronte politico, visto che la Lega Salvini del Trentino per arrivare all’approvazione della nuova legge elettorale non si è preoccupata di affondare la rappresentanza di Fratelli d’Italia nel Consiglio provinciale, “conquistando” due dei quattro consiglieri regionali che non hanno rispettato le indicazioni di partito, con ciò riducendo alla marginalità politica quanto rimane di Fdi in Trentino.
Il ricorso alla Corte costituzionale da parte del governo su spinta di FdI e di FI potrebbe essere il minimo sindacale, politicamente parlando, per restituire ai salviniani lo sgarbo incassato in Trentino.
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