Ravenna batte il record del coro musicale più grande, con ben 3.116 musicisti arrivati in città da ogni dove per partecipare alla masterclass diretta dal maestro Riccardo Muti che ha studiato sulla partitura del “Nabucco” di Giuseppe Verdi e sul suo famoso “Va pensiero” che, intonato nel pieno dei musicisti, dà al pubblico del Pala Mauro De André una fortissima emozione, a partire dallo stesso Muti.
Nella due giorni dell’1 e del 2 giugno, da solo sul palco, Muti è più maestro che mai in questa lezione che è una chiamata collettiva alla musica, ma anche ad un rito di solidarietà, di ritrovata armonia in un mondo dilaniato dalle contrapposizioni.
«Non pensavo di avere una risposta così massiccia – dice Muti – da tutte le regioni, dalle Alpi alle Piramidi. È una cosa leggera dal punto di vista dello stare insieme – aggiunge -, ma dal punto di vista del lavoro no. Iniziamo dal “Va’ pensiero”: si è tanto discusso per farne l’inno nazionale, ma io spezzo una lancia per il nostro Mameli. Come può essere un inno nazionale cantato da schiavi che sognano il ritorno nella terra promessa? Poi dura 5 minuti, i giocatori si addormentano prima di iniziare la partita».
Ma poi il “Canto degli italiani” o meglio “Fratelli d’Italia”, Muti lo fa cantare a tutti insieme dal coro dei record, per onorare il 2 giugno ma senza il “Sì” finale: «io ho guardato il manoscritto di Mameli ma “Sì” non c’è, è una cosa un po’ volgare» e glielo fa rifare senza, mentre in sala qualcuno sventola il tricolore.
Scherza anche molto Muti, salta, gesticola, non si risparmia su quel palco da solo davanti alla marea che indossa la maglietta nera con la scritta “Cantare amantis est” (Cantare è proprio di chi ama), la frase di Sant’Agostino: sono qui per la nuova tappa de “Le vie dell’Amicizia”, l’appuntamento del Ravenna festival che quest’anno rimane a casa per proporre “un viaggio nella coralità” dopo tanti viaggi a portare la musica nel mondo come messaggio di pace a partire da quello del 1997 a Sarajevo.
Alla chiamata di Muti hanno risposto 104 cori, 1.202 coristi singoli, per un totale di 3.116 partecipanti da tutta Italia, da Cagliari a Matera, da Trento a Palermo, da Campobasso a Napoli. Il coro dei record è composto da tutte le età, dai 4 agli 87 anni, e sugli spalti sono stati organizzati secondo il tono: voci bianche 208; soprani 1.059; contralti 1.062, mentre nella platea oltre ai minori – in prima fila i più piccoli – ci sono dietro i 389 tenori; e i 398 bassi. Sono professionisti e non, ma si sono preparati e soprattutto sono felici, sono qui dalla mattina e mentre aspettano il maestro già cantano intonando “Romagna mia”, “Bella ciao”, “Nel blu dipinto di blu” e quando entra gli fanno la ola.
Nella masterclass studiano alcune delle più significative e celebri pagine corali di Giuseppe Verdi («Il più grande e il più oltraggiato dei musicisti»): “Patria oppressa!” da “Macbeth” e “Jerusalem!” da “I Lombardi alla prima crociata”, e ”Va’ pensiero” da “Nabucco”.
«È bene o male tutta la vita che studio Verdi – spiega Muti – e più lo studio più mi rendo conto della perfezione, che nulla è lasciato al caso. I solisti tengono le note tre ore, urlano come pazzi, ma questa non è l’Italia, che è un paese raffinatissimo», e spiega ancora: «sono stufo di vedere nel mondo ascoltare con dedizione Mozart o Wagner, mentre l’opera italiana è considerata puro intrattenimento».
«Sono cori amatoriali e più di mille venuti da soli, spontaneamente. Dimostrano un altro modo di concepire il canto – chiosa il maestro – questo è un esempio che va portato nel mondo. Sono felice di aver fatto questa esperienza prima di andare aldilà», sottolineando la sua battaglia per l’insegnamento della musica nelle scuole. Insomma è anche, ancora una volta, una pagina della grande musica, di quella che trasmette emozioni palpabili.
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