Tutta la vicenda per il rinnovo della concessione per l’esercizio dei 313 chilometri della tratta autostradale gestita dalla Autostrada del Brennero Spa, scaduta da ben 10 anni, di proprietà degli enti locali della regione Trentino Alto Adige, più che una vicenda politico economica si sta trasformando in una commedia A22, meglio ancora in una farsa A22, dove i principali autori sono gli amministratori locali che azionisti di A22 che si sono incaponiti a considerare l’infrastruttura come “cosa nostra”, nonostante ne fossero solo i meri concessionari di un bene fin dall’origine di proprietà statale.
Dopo i numerosi rinvii dopo la frettolosa e rocambolesca presentazione del bando di gara allo scadere dei termini a fine 2024, ora tocca ai continui rinvii dell’apertura effettiva della gara per assistere agli esiti della commedia A22, esiti che molti danno già per scritti e pure visti, dato che soprattutto la previsione della prelazione a parità di condizioni per il proponente della gara, la stessa Autostrada del Brennero Spa, oltre alla durata per ben 50 anni in palese contrasto con le direttive dell’Autorità regolazione del Trasporti ne fissano al massimo 15 anni, ha fatto discutere fin dall’inizio, probabilmente evidenziando ancora una volta l’inadeguatezza sia della politica che dei vertici della società aspirante al rinnovo della concessione.
Se si fosse proceduto come nulla fosse, nonostante il “non possumus” già pronunciato dalla Commissione Ue sulla previsione della prelazione, della durata cinquantennale e del ricorso alla finanza di progetto, proprio sulla questione della prelazione c’è già un ricorso attivo presso la Corte di giustizia Ue che dovrebbe essere definito entro la fine 2025. Se da quanto è lecito capire dai refoli che soffiano da Bruxelles dalle stanze della Commissione Ue, la decisione dovrebbe essere a senso unico volta a bocciare la prelazione in quanto contrastante con i principi della concorrenza e del libero mercato.
La via d’uscita per il ministro alla Infrastrutture, il leghista Matteo Salvini, l’avrebbe a portata di mano, spostando la concessione ampiamente scaduta da 10 anni dall’attuale gestore ad Autostrade dello Stato spa recentemente costituita proprio dal Mit. Si risolverebbero d’un tratto tutti i problemi riguardanti la concessione della commedia A22 e l’avvio degli investimenti, a partire da quelli relativi alla terza corsia. Ovvio che così facendo, Salvini darebbe un fortissimo dispiacere ai suoi feudatari locali sparsi lungo i territori attraversati dall’autostrada, ma sarebbe la soluzione più lineare ed efficace a tutela degli interessi pubblici.
Un’altra soluzione per risolvere la commedia A22 potrebbe pure esserci, ma presupporrebbe il superamento del campanilismo degli attuali azionisti. Potrebbe passare da una trattativa con la regione Veneto per entrare nel capitale di Cav, la concessionaria che gestisce la Padova Mestre e il Passante di Mestre, realtà in predicato di entrare nella gestione dell’autostrada Brescia-Padova e della Valdastico nel 2026 quando scadrà la concessione.
Sarebbe bastato intavolare una seria trattativa con il Doge uscente del Veneto, Luca Zaia, per stabilire l’entrata nel capitale di Cav degli enti locali titolari di A22, parallelamente al calo del Veneto dall’attuale 49% (il resto è già in mano di Anas e questo consente l’assegnazione diretta della concessione autostradale senza gara essendo lo Stato in posizioni di maggioranza), creando così il secondo gestore autostradale per rete gestita dopo Autostrade per l’Italia, davanti al gruppo Gavio. Questa sarebbe stata la soluzione più realistica ed intelligente, che avrebbe dato origine ad un soggetto autostradale sistematico molto più forte ed in grado di generare dividendi molto più consistenti utili anche per finanziare opere infrastrutturali a servizio del territorio.
Ma la solita miopia degli azionisti A22, unitamente ad una incapacità strategica e a una capacità di visione obnubilata da troppe fette di speck poste sugli occhi ha portato all’attuale cul de sac, dove nessuno sa come uscirne se non con danni più o meno gravi, professionali e politici.
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