Si è chiuso a Trento, alla presenza dei rappresentanti delle categorie economiche, delle parti sociali, dei centri di ricerca e dell’Università di Trento, il “Trentino Economic Forum”. iniziativa – ideata dall’Assessorato provinciale allo Sviluppo economico – che potrebbe diventare un appuntamento periodico, con cadenza annuale, che andrà ad arricchire i diversi momenti di approfondimento territoriale sulle grandi sfide economico-sociali, come il Festival dell’Economia e il Forum per la Ricerca.
Il vicepresidente del Trentino e assessore alla Sviluppo economico, lavoro, famiglia, università e ricerca, Achille Spinelli, spiega che «essere innovativi – e il nostro territorio lo è, visto che siamo al secondo posto in Italia tra gli innovatori forti dopo l’Emilia Romagna – è fondamentale per guardare al futuro. Uno degli elementi chiave in tal senso è il trasferimento tecnologico. Siamo consapevoli dell’importanza di lavorare per trasferire il valore costruito nel sistema pubblico della ricerca all’impresa privata, anche al fine di progredire nella capacità di impatto e rimanere un territorio ambito, anche per le giovani menti che si stanno formando nelle nostre scuole e università».
Il presidente dell’Università di Trento, Franco Bernabè, tra i fautori del “Trentino Economic Forum”, sottolinea come innovazione e ricerca non possano andare disgiunte dalla capacità di fare un prodotto dall’inizio alla fine. «Non bisogna – dice – perdere la conoscenza manifatturiera e questo l’Italia lo ha capito. L’Università di Trento – prosegue Bernabè – è un’università media, di eccellenza a livello italiano ed europeo. Un’università media in una città media, come Trento, è integrata nel tessuto urbano, lo vivifica. Al suo interno, c’è capacità di interagire tra settori e competenze diverse. Lo svantaggio, invece, è quello legato all’esser fuori dai distretti finanziari e industriali dove normalmente avviene il trasferimento tecnologico. Ecco, quindi, che diventa fondamentale coltivare una rete di rapporti scientifici e personali».
Anche il presidente del Comitato per la ricerca e l’innovazione del Trentino, Mario Calderini, vede nella «capacità di costruire rapporti le grandi reti di ricerca internazionale e di affidare pezzi di ricerca importanti, come appunto il Comito per la ricerca e l’innovazione, a esperti non trentini, gli anticorpi per creare un equilibrio virtuoso e scongiurare il rischio di implosione o chiusura del territorio trentino».
Alla connessione forte con la politica industriale e le strutture espresse dal territorio per garantire il successo della ricerca di base guardano anche i relatori espressione dei diversi dipartimenti dell’Università di Trento. Per la docente del Dipartimento CIBIO dell’Università di Trento, Anna Cereseto, «il CIBIO ha attratto ricercatori a livello internazionale. Al suo interno sono nate diverse startup, che hanno valorizzato i risultati della ricerca universitaria, di base. Dalla cura di alcuni tipi di cecità allo sviluppo di piante più resistenti alla siccità. Ciò dimostra le potenzialità di questa realtà. Se pensiamo alle grandi università, come Harvard, vediamo – su scala più grande – che fanno lo stesso, ovvero sostengono lo sviluppo di startup e incubatori, vicini ai dipartimenti. Questo perché gli incubatori favoriscono la creazione di massa critica»”.
Il docente del Dipartimento DISI dell’Università di Trento, Paolo Giorgini, «ad oggi, vista la maggiore disponibilità di dati, l’ampia potenza di calcolo data dallo sviluppo di nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale e le grandi risorse a disposizione dei protagonisti internazionali, spesso l’innovazione si trova in una fase più avanzata rispetto alla ricerca. Per questo motivo, è necessario ripensare il nostro modello di trasferimento tecnologico, dar vita a nuove strutture dove si lavori al contempo sia sulla ricerca che sull’innovazione. Senza trascurare le competenze, perché è necessario formare persone in grado di governare queste tecnologie».
Il presidente della Fondazione Bruno Kessler, Ferruccio Resta, sottolinea al “Trentino Economic Forum” la necessità di un approccio più moderno e strutturato al tema delle startup innovative. «La sfida più urgente – spiega – è attrarre talenti, creando le condizioni perché scelgano di restare e costruire il proprio futuro qui, in Italia. La frammentazione delle iniziative, le difficoltà di accesso ai capitali e l’assenza di ecosistemi solidi continuano a limitare lo sviluppo delle giovani imprese e il trasferimento della ricerca applicata verso il sistema produttivo. Proprio da queste criticità può però emergere una preziosa possibilità: quella di definire modelli più agili e integrati, capaci di mettere in relazione competenze tecnologiche e umanistiche e di trasformare idee in imprese, conoscenza in valore per il territorio».
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