Di Maio & Salvini portano il debito pubblico al record storico: 132,1%

Da Bankitalia e Istat due segnali poco incoraggianti per le politiche economiche e sociali del governo gialloverde. Brunetta: «il primo anno dell’era legapentastellata si chiude al ribasso». 

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debito pubblico

Dopo appena due mesi, il 2019 si rivela in tutta la sua bruttezza, ribaltando la previsione per un «anno bellissimo» fatta al termine della travagliata approvazione della legge di Bilancio 2019 dal premier Giuseppe Conte che, evidentemente, non ha tenuto sufficientemente in vista i segnali anticipatori del ciclo economico che hanno portato l’Italia nuovamente in recessione e un debito pubblico al record storico. Una recessione che rischia di essere lunga, visto che il Paese è stato l’unico (assieme alla disastrata Grecia) a non essere uscito da quella iniziata nel 2007, superata perfino da una Spagna che partiva da posizioni peggiori di quelle nostrane.

La pietra tombale sull’anno bellissimo la mette Bankitalia che ha diffuso i dati relativi al debito pubblico statale. Dati che certificano il nuovo record inanellato da Luigino Di Maio e Matteo Salvini: il record storico del debito pubblico, salito a quota 132,1% del Pil nel 2018, il livello più alto mai raggiunto, superando anche il precedente picco del 2014. In base ai dati di Bankitalia, il debito delle pubbliche amministrazioni nell’intero 2018 è aumentato in assoluto di 53,2 miliardi salendo a 2.316,7 miliardi.

Dato che ha dato il “là” all’economista azzurro Renato Brunetta, che si rifà anche ai dati pubblicati dall’Istat: «il primo anno economicodell’era del governo gialloverde si chiude al ribasso. Crescita più bassa del previsto, debito pubblico e deficit rivisti al rialzo, consumi ed exportin frenata, investimenti fermi. È questo il desolante quadro dipinto oggi dai dati dell’ISTAT sul 2018. Secondo le stime dell’istituto di statistica, il Pil dello scorso anno si è fermato al +0,9%, dal +1,6% dell’anno precedente e più basso delle stime del Governo, pari al +1,0%. Malissimo il debito pubblico, salito al 132,1% del Pil, al livello percentuale più alto mai raggiunto, superiore anche al precedente picco del 2014 (131,8%). Il deficit pubblico si è attestato al 2,1%, più in alto rispetto alle aspettative dell’1,9% – snocciola Brunetta -. In “netto ridimensionamento” la domanda interna e, in particolare, i consumi, scrive sempre l’Istat, facendo notare che la spesa delle famiglie residenti in Italia è cresciuta solamente del +0,6% contro il +1,5% dell’anno precedente. In calo anche l’export, cresciuto del +1,9% contro il +5,9% del 2017. In diminuzione anche gli investimenti, passati da un aumento del +4,0% nel 2017 al +3,4% del 2018. Sempre altissimo il livello di pressione fiscale, rimasta stabile al 42,2%, allo stesso livello del 2017».

Dopo la scivolata del Belpaese in recessione tecnica, per i due cali trimestrali consecutivi del Pil, la nuova rilevazione dell’Istat mette in allarme le associazioni di categoria. «Il fragile profilo dell’occupazione nel 2018 appare più coerente con il forte rallentamento del Pil registrato dai conti nazionali – commenta l’Ufficio studi di Confcommercio -. Gli stessi conti confermano la temuta frenata dei consumi e la pericolosa crescita del rapporto debito-Pil». Il debito sfonda, infatti, per la prima volta il 132% del prodotto interna lordo. Nel 2017 si era fermato al 131,3% del Pil, lo stesso livello del 2016, dopo essere calato dal 131,6% dell’anno precedente. A fine 2018 il monte del debito pubblico italiano è di 2.263,4 miliardi. Per fare un confronto in cifre, il Pil si ferma invece a 1.753,9 miliardi.

Il rapporto debito/Pil è il fattore che più penalizza l’Italia nelle classifiche internazionali ed espone l’economia alla massima vulnerabilità. Esso è peggiorato, passando dal 131,3% del 2017 al 132,1 del 2018 (poco meno di 2.317 miliardi in valori assoluti). Le ultime previsioni del Governo puntavano ancora su un debito/Pil al 131,7%.

Più che reddito di cittadinanza, l’Italia e gli italiani necessitano di lavoro e di investimenti a partire dallo sblocco dei cantieri per le opere pubbliche, oltre che da una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche per tagliare gli innumerevoli sprechi ed inefficienze che albergano soprattutto nell’amministrazione centrale e in quella degli enti locali del Meridione che vede come la peste la ricerca dell’efficienza delle proprie politiche di spesa pubblica.

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