Professionisti, microimprese e l’obbligo dell’iscrizione alla Cciaa per i bandi pubblici

I professionisti non sono obbligati ad iscriversi alle Camere. Evitare di pubblicare bandi pubblici dove si richiedere come requisito fondamentale l’iscrizione alla Camera. 

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L’Italia è una Repubblica dove il diritto non è del tutto certo e di univoca interpretazione e i professionisti, quegli oltre 1,4 milioni di lavoratori autonomi spesso altamente qualificati ed iscritti a specifici ordini, sono i primi ad esserne penalizzati.

La normativa comunitaria, italiana e la giurisprudenza italiana qualificano i professionisti come microimprenditori, ovvero soggetti economici aventi una ridotta organizzazione economica, spesso imprenditori di sé stessi, e la legge di Stabilità del 2016 qualifica i liberi professionisti equiparandoli in pieno «alle PMI come esercenti attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita», in base a quanto previsto dalla Raccomandazione della Commissione UE 6 maggio 2013/361/CE, dal Regolamento UE 1303/2013, e dalle Linee d’azione per le libere professioni del Piano d’azione Imprenditorialità 2020.

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Peculiarità del professionista nell’ordinamento italiano, a differenza di tutte le altre forme d’impresa, è che non è tenuto ad iscriversi alla Camera di commercio territorialmente competente. Stanti le norme europee ed italiane, sarebbe interessante capire il perché in Italia chi formula i bandi di accesso a bandi di gara e ai finanziamenti pubblici si preveda sempre e comunque il requisito dell’iscrizione alla Camera di commercio, con il risultato di escludere a priori i professionisti, a meno che non si dotino di una specifica iscrizione all’ente camerale, magari come Srl semplificata unipersonale. Con quel che ne consegue con aggravio di spese e di burocrazia.

Testimone di questa situazione è il recente bando emanato dal ministero della Cultura che, valendosi di fondi comunitari, prevede l’erogazione di contributi a fondo perduto fino a 100.000 euro (80% massimo) in favore di micro e piccole imprese, enti del terzo settore e organizzazioni profit e no profit, operanti nei settori culturali e creativi per favorire l’innovazione e la transizione digitale.

Proprio il settore della cultura è tipico dei professionisti, siano essi musicisti, scrittori, giornalisti, attori ma anche esperti di arte, archeologia, architettura, ambiente, ecc.: le professioni coinvolte nella cultura in senso lato sono le più disparate, ma tutte hanno il comune denominatore di non essere soggette all’iscrizione alla Cciaa.

Di qui l’appello al neo ministro alle Imprese e al Made in Italy, Adolfo Urso, ad intervenire al più presto per emanare una norma d’indirizzo chiara ed univoca a tutti i ministeri e alle relative branche operative di non prevedere come requisito tassativo per la partecipazione ai vari bandi del requisito dell’iscrizione alla Cciaa, per non precludere la gara alla platea dei professionisti. Ne va della parità di trattamento tra imprese – anche se micro – e della crescita della nazione.

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