Autonomia, LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) e dimissioni

Perché si sono dimessi quattro membri del comitato per la determinazione dei LEP? Di Paolo Franco, già parlamentare Lega Nord Veneto

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Ho letto la lettera a firma Amato, Bassanini, Gallo, Pajno, con la quale questi membri del “Comitato LEP” hanno spiegato le ragioni per le quali non intendono più partecipare ai lavori per la “maggiore autonomia” delle regioni ordinarie e quindi cerco di dare una spiegazione plausibile e comprensibile a chi non intende (magari a ragione) addentrarsi nei meandri delle tecniche legislative.

Premetto: ho sempre sostenuto due questioni. La prima è quella che contesta l’impiego di una “legge quadro” o “di attuazione” per l’approvazione dell’Autonomia differenziata; infatti, la Costituzione prevede un altro procedimento legislativo. La seconda, è che inserire nella medesima legge LEP e Autonomia è un grave errore in quanto i primi sono di esclusiva competenza dello Stato, la seconda invece si realizza sulla base delle intese tra Regioni e Stato.

Voglio chiarire anche un altro dubbio: dobbiamo aver presente che i LEP non riguardano solo le regioni (che abbiano o non abbiano chiesto l’Autonomia), ma anche lo Stato, cioè tutte le Istituzioni sono tenute a rispettare i LEP, una volta determinati, nelle materie di propria competenza.

Vengo ora al dunque della lettera dei dimissionari. C’è un passaggio che, per gli addetti ai lavori, spiega tutto: «Come avevamo proposto, la contraddizione fra il dettato costituzionale (116, 117 e 119) e il primo periodo del comma 791, da un lato, e le altre disposizioni della legge di bilancio, dall’altro, si potrebbe risolvere modificando queste ultime mediante appositi emendamenti al disegno di legge Calderoli, facendo così correttamente prevalere le norme costituzionali. Ma abbiamo inteso che questa proposta non è condivisa (…)».

Qual è il problema che fa insorgere i professori? Faccio prestissimo a trascrivere quella che loro definiscono “contraddizione” e la trovo, appunto, nella legge di bilancio (art. 1, comma 793) che stabilisce alcune norme a proposito del collegato sull’Autonomia: “La Cabina di regia (…) determina, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31dicembre 2009, n. 196, e, comunque, nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente, i LEP (…)”.

Ecco svelato l’arcano (tutto il resto è fumo negli occhi): i professori mettono al centro la questione del finanziamentodei LEP, tanto che, in un altro punto del loro documento, sostengono che «Il ricorso al criterio della spesa storica peraltro non risolve il problema, perché la spesa storica riflette le disuguaglianze territoriali nel godimento dei diritti fondamentali che l’art. 117, lett. m, mira a superare».

Si tratta di aspetti già sollevati in precedenza dal prof. Massimo Villone, presidente di un’organizzazione che ha tra i propri obiettivi quello di cancellare la parte della Costituzione che prevede l’Autonomia differenziata. Mi chiedo, quindi, come mai ai quattro sia venuto in mente solo ora di fare questa comparsata.

La contraddizione, questa volta nelle posizioni politiche espresse dai professori, consiste proprio nel sistema in cui, dal dopoguerra in avanti, è stata gestita la finanza pubblica. Ora mi si perdonino le esemplificazioni estreme, ma ai cittadini bisogna dare delle risposte semplici.

I LEP, introdotti in Costituzione nel 2001, sono i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Quindi, ad esempio, si tratta del comune che deve consegnare un certo numero di carte d’identità ai propri cittadini entro determinati tempi, dell’ospedale per quanto riguarda le radiografie, della scuola in ordine alla disponibilità di insegnamenti e docenti… Si potrebbe continuare per ore: ma abbiamo capito l’ampiezza dell’oggetto.

Insieme ai LEP devono essere determinati i relativi costi e fabbisogni standard necessari al loro finanziamento (per il personale, le strutture, i materiali, ecc.) e gli enti pubblici, con le risorse così attribuite, devono provvedere ad erogare i servizi previsti. Riprendo i termini che ho appena sottolineato: livelli essenziali – in modo uniforme – a costi e fabbisogni standard. Ora faccio un esempio brutale: se oggi, in quel comune che deve produrre le carte d’identità, vengono impiegati quattro dipendenti e in un altro solo due, e noi determiniamo che i LEP prevedono l’impiego di tre dipendenti… che si fa? Se invece determinassimo i LEP in corrispondenza delle risorse impiegate dal primo comune, il bilancio dello Stato non potrebbe sostenere la spesa in quanto tutti i comuni dovrebbero avere lo stesso numero di addetti per quel determinato servizio, e, di conseguenza, il secondo comune dovrebbe assumerne due. All’opposto, se determinassimo un numero inferiore di risorse dedicate, ad avere problemi sarebbe il primo comune che si vedrebbe trasferiti finanziamenti insufficienti a sostenere l’organizzazione vigente (magari artefatta da decenni di assunzioni clientelari).

Moltiplicate questo pessimo esempio per ogni servizio pubblico e vi fate un’idea perché qualcuno veda come fumo negli occhi la determinazione dei LEP e l’Autonomia. Si tratta di continuare a mettere la polvere sotto il tappeto di uno Stato dal debito pubblico abnorme.

Invece l’Autonomia (non certo quella del disegno di legge Calderoli che la posticipa ai LEP e quindi abbiamo già capito come andrà a finire) rappresenterebbe un minimo processo di efficientamento della gestione pubblica secondo il principio costituzionale di sussidiarietà. Per quanto riguarda i LEP la considerazione conclusiva è che la loro determinazione crea problemi piuttosto allo Stato che alle regioni che chiedono l’Autonomia, a conferma del fatto che i due percorsi avrebbero dovuto essere separati.

Un’ultima osservazione sulla lettera dei quattro professori: a corollario delle motivazioni per le dimissioni i suddetti sostengono che non è stata accolta la loro proposta di mettere dei limiti alle intese tra Stato e regione «quali per esempio le norme generali sull’istruzione o le grandi infrastrutture nazionali di trasporto (autostrade, ferrovie, grandi porti e aeroporti), le reti di telecomunicazione e le infrastrutture nazionali di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica e del gas». Ma questa è un’osservazione politica, tutt’altro che tecnica, compito al quale erano stati chiamati. A dimostrazione, insomma, che lo sdegno con il quale hanno esternato le loro scelte ha ben altre motivazioni rispetto a quelle addotte.

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