Servizio sanitario nazionale sempre più in crisi

Tra il 2020 e il 2022 tagliati 32,500 posti letto. In 10 anni chiusi 95 ospedali. Il Fondo sanitario è cresciuto in termini assoluti e nominali, ma è fortemente eroso dall’inflazione.

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Il Forum delle 75 Società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc) ha tracciato un quadro decisamente preoccupante del Servizio sanitario nazionale, lanciando un appello al governo Meloni chiedendo una «grande riforma strutturale e misure urgenti per salvare il Ssn universalistico. Le cure per tutti – avvertono – sono a rischio». E lo stesso Pnrr sulla sanità investe complessivamente poco.

Secondo la denuncia del Forum, la salute del Servizio sanitario nazionale continua a peggiorare, a partire dalla situazione degli ospedali pubblici: in soli due anni, dal 2020 al 2022, sono stati tagliati 32.500 posti letto. In tutto, da anni, mancano almeno 100.000 posti letto di degenza ordinaria e 12.000 di terapia intensiva. Fra il 2019 e 2022, oltre 11.000 medici hanno lasciato le strutture pubbliche attratti dalle migliori condizioni contrattuali della sanità privata o da quella estera. Diminuisce anche il numero degli ospedali attivi: in 10 anni ne sono stati chiusi 95 (9%).

Problemi pure per la disponibilità dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale: secondo il Forum «nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021, ma è diminuito rispetto al Pil ed è fortemente eroso dall’inflazione, oltre che in gran parte vincolato per i rinnovi contrattuali del personale con aumenti irrisori». Con il risultato di avere ridotto le risorse effettivamente disponibili sia per la retribuzione degli addetti che per gli investimenti nel comparto.

Infine, il problema della carenza degli operatori sanitari: «entro il 2025 – afferma il coordinatore Fossc, Francesco Cognetti – andranno in pensione 29.000 medici e 21.000 infermieri, senza un sufficiente inserimento di nuovi professionisti. Mentre sempre più giovani, formati a spese dello Stato (circa 150.000 euro di costo ognuno) vanno all’estero, dove ricevono stipendi anche tre volte superiori». Una sanità straniera che apprezza la professionalità dei medici italiani e che ringrazia sentitamente per la formazione gratuita offerta.

C’è poi l’annosa questione del rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea): «le cure considerate fondamentali per tutti i cittadini, non sono rispettate in 12 regioni su 21. E si tratta – precisa Cognetti – dei Lea attualmente in vigore che risalgono addirittura al Dpcm 29 novembre 2001, aggiornati con il Dpcm 12 gennaio 2017, ma mai attuati».

Secondo il Forum, il «malato più grave» del Servizio sanitario nazionale è rappresentato dagli ospedali, con il Paese che occupa il XXII posto nella graduatoria europea del numero di posti letto. La media italiana è di 314 posti letto di degenza ordinaria per 100.000 abitanti rispetto alla media europea di 550 e di 8-10 posti letto di terapia intensiva per 100.000 abitanti rispetto ai 30 della Germania e a più di 20 della Francia. Una situazione «molto grave – afferma Fabio de Iaco, presidente della Società italiana di medicina di emergenza urgenza Simeu – che determina storture gravi nel sistema di assistenza. Infatti, pazienti che necessitano di terapia intensiva o semintensiva spesso, per mancanza di posti letto, rischiano di rimanere in pronto soccorso anche per giorni, pur avendo quadri di maggiore gravità. Ciò è allarmante e per questo chiediamo con urgenza che vengano incentivate le strutture di terapia semintensiva».

Anche il Pnrr, afferma il Forum, «prevede di riservare solo l’8,3% dei fondi previsti alla sanità, ma solo per l’aggiornamento tecnologico e per la ricerca negli ospedali, nulla per il potenziamento strutturale e del personale». In queste condizioni, le Società scientifiche chiedono «come sia possibile il solo pensare al varo della legge sull’Autonomia differenziata».

Sulla stessa linea il maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri, l’Anaao Assomed: «le profonde differenze tra Nord e Sud in materia di salute mettono a rischio la coesione sociale del Paese. E il disegno di legge sull’Autonomia differenziata all’esame del Parlamento, invece di colmare questo divario, rischia di ampliarlo ulteriormente, dividendo l’Italia in due: una a Nord, con sanità e cittadini di serie A, e una a Sud, con sanità e cittadini di serie B». Quello che rischiamo, avverte il segretario Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, è «la disgregazione sociale».

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