Energia, in Italia sempre più scarsa e carissima

Competitività del paese sempre più a rischio, con gli investimenti italiani ed esteri che preferiscono altre destinazioni.

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In Italia sta emergendo sempre più fortemente il problema della disponibilità di energia nelle sue diverse forme, da quella elettrica al gas metano, ai carburanti, e quella poca che c’è sta diventando insufficiente a soddisfare la domanda, specie quella attesa nel prossimo futuro.

La produzione nazionale di energia elettrica sta diventando sempre più insufficiente a fronteggiare la domanda, come quella delle richieste di attivazione di nuovi centri di calcolo che necessitano di decine di megawatt di potenza disponibile che, troppo spesso, non riescono a decollare per mancanza di offerta. Senza contare che quella poca che c’è è sempre più cara, specie in confronto con i concorrenti esteri che per la generazione utilizzano fonti di minore costo, come il carbone o il nucleare.

La disponibilità di energia elettrica e a prezzi concorrenziali oggi costituisce un fattore fondamentale di competitività nell’attrazione di investimenti esteri, oltre al fattore costo del lavoro, e non ci si deve stupire se gran parte degli sforzi compiuti dal governo Meloni nell’attrarre investimenti esteri per rilanciare l’industria dell’acciaio o dell’automotive finiscono inesorabilmente nei paesi dell’Est Europa o anche in Spagna, per non dire della Francia che può contare sul costo dell’energia più competitivo grazie all’ampio ricorso della generazione nucleare che l’Italia ha rifiutato annullando il proprio programma e dimettendo gli impianti esistenti, sopportando così in bolletta i maggiori costi sia di generazione per l’utilizzo preponderante di gas metano che degli oneri di smantellamento degli impianti nucleari sotto le voci degli oneri di sistema.

Ad essere in crisi c’è anche il settore della produzione dei carburanti da raffinazione del petrolio, nonostante che la capacità installata nazionale sia ampiamente sufficiente a soddisfare la domanda interna. Peccato solo che le incertezze politiche sul futuro dell’utilizzo delle fonti fossili connesse al “green dealeuropeo, che pare indirizzato alla profonda rivisitazione con il prossimo europarlamento, abbiano sostanzialmente bloccato gli investimenti nel settore, finendo con il rallentare la produzione nazionale, lasciando sempre più spazio alle importazioni estere di prodotti raffinati, a partire dal gasolio che vede ormai il 40% dei consumi nazionali dipendenti dagli acquisti esteri, spesso direttamente dagli stessi paesi produttori di petrolio che così aumentano i loro margini di guadagno.

Infine, la ciliegina dei ritardi connessi con la ripartenza della produzione nazionale di energia fossile, ostacolata dalle procedure autorizzatorie e, spesso, dall’opposizione degli enti locali, penalizzando così il Paese che finisce con il rinunciare a produzioni energetiche a basso costo – che nel caso dei giacimenti marini vengono lasciati alla completa disponibilità dei paesi confinanti, che ringraziano sentitamente – e a dipendere più del necessario dalle importazioni a caro prezzo, per di più maggiormente esposte alle fluttuazioni delle quotazioni internazionali legate a doppio filo alle tensioni geopolitiche.

Insomma, comunque la si giri, la situazione è decisamente complessa, ma non ci si può prendere il lusso di cincischiare e la politica deve prendersi fino in fondo le proprie responsabilità per soddisfare le esigenze della nazione.

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