I punti nascita periferici mandano i conti sanitari del Trentino fuori controllo

La decisione della maggioranza leghista di riaprire i punti di Cles e Cavalese non è più sostenibile per l’enormità dei costi che per il ridotto numero di parti.

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Il mantenimento dell’apertura dei punti nascita presso gli ospedali periferici del Trentino era stato uno dei cavalli di battaglia delle elezioni provinciali del 2018, consegnando la vittoria alla maggioranza leghista, salvo sei anni dopo trasformarsi in un buco nero della sanità trentina, con costi fuori controllo denunciati anche dalla Corte dei conti, secondo cui un nato nei punti nascita di Cles o di Cavalese costa 20.000 euro rispetto ai 5.000 presso l’ospedale di Trento, tra l’altro realtà, assieme all’altro ospedale principale, quello di Rovereto, sempre più scelto anche dalle stesse madri delle vallate.

Il problema su cui la giunta leghista rieletta ad ottobre 2023 dovrà confrontarsi senza infingimenti è la doppia difficoltà che deve fronteggiare: oltre ai maggiori costi per tenere issata una bandiera clientelare, c’è il problema della scarsità di medici che morde la sanità trentina, con il risultato che il ridotto numero di parti annui presso gli ospedali periferici, 132 a Cavalese e 242 a Cles, non attira i medici di ruolo, con la necessità di ricorrere ai medici privati a gettone che fanno lievitare i costi del servizio.

Già sei anni fa si era evidenziato come quello cavalcato dalla Lega Salvini fosse solo un capriccio elettorale, privo di fondamento come si è dimostrato nella realtà, visto che il numero minimo in deroga dei parti500 rispetto ai 1.000 parti/anno – in questo periodo non è mai stato raggiunto. Anche perché il continuo alternarsi di medici e di ostetrici non consente l’instaurazione di un rapporto fiduciario tra donne e personale sanitario, con tante future mamme di valle che saltano a piè pari l’ostacolo rivolgendosi ai punti nascita di Trento o di Rovereto, dove l’assistenza è continuativa e garantita pure nel caso di parti problematici.

La relazione della Corte dei conti è impietosa: «quasi la metà delle partorienti residenti nei comuni della Val di Fiemme e Fassa e della Val di Non e Sole, nel 2022, si è rivolta a strutture diverse da quella di zona, per scelta o per indicazione clinica. Sotto il profilo dei costi, le prestazioni rese dai reparti di ostetricia e ginecologia di Cavalese e di Cles, calcolate secondo il criterio dei punti DRG (diagnosis related group) registrano un costo unitario medio, rispettivamente, pari a euro 20.298 ed euro 17.621, contro i 5.200 euro dei reparti di Trento e i 4.823 euro di Rovereto. Alla luce dei suddetti dati, una riorganizzazione del settore comporterebbe anche una più equa distribuzione delle risorse fra le diverse strutture, poiché l’evidente sottoutilizzo del personale locale potrebbe essere convertito a sostegno di reparti con elevate scoperture».

La Corte dei conti richiama la Provincia al rispetto degli accordi: «si evidenzia che i parti registrati presso gli ospedali di Cavalese e di Cles risultano, nel 2022, rispettivamente 132 e 242 (ma il 2023 non è andato meglio: Cavalese ha fatto registrare 137 nascite e Cles 282, con un andamento in calo nei primi mesi del 2024, ndr) dato significativamente inferiore ai parametri minimi di 500 parti annui, fissati dall’Accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010 (peraltro, già in deroga ai 1.000 parti/anno)».

La guida della sanità trentina è passata dalle mani incapaci dell’assessore precedente, la leghista Stefania Segnana, a quelle dell’autonomista Mario Tonina che si rende pragmaticamente conto della situazione che va affrontata senza infingimenti ulteriori, anche per ridurre gli sprechi che non possono essere tollerati per mere questioni di clientelarismo politico spacciato per difesa dell’Autonomia speciale e dell’eguaglianza tra tutti i cittadini, siano di città o di valle.

Secondo Tonina «si possono caratterizzare gli ospedali in modo diverso, ma gli approfondimenti sono in corso e la decisione sarà della Giunta provinciale con la condivisione dei territori interessati. La relazione della Corte dei conti si riferisce al 2022, ma nel 2023 il trend è stato confermato e non possiamo nascondere quest’anno, per il momento, i numeri sono ancora peggiori».

La decisione politica di riassettare l’organizzazione dei punti nascita potrebbe essere facilitata anche dal parere degli stessi medici che chiedono la chiusura dei due punti nascita periferici con la concentrazione di tutta l’attività neonatale nei due ospedali maggiori di Trento e di Rovereto, così come accade già ora per i casi più complessi, il che consentirebbe anche un migliore utilizzo del personale addetto.

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