Trentino deciso a resistere alle pretese esose dello Stato in tema di finanze

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Rossi: “vogliamo regole certe ed eque, in linea con quelle richieste alle altre realtà speciali”

L’assetto dei rapporti finanziari tra la provincia di Trento e lo Stato è da qualche anno motivo di tensione e di rapporti burrascosi tra le due realtà, con innumerevoli ricorsi alla Corte Costituzionale vinti dall’Autonomia.

Come se non bastasse il Governo Letta intende rincarare il prelievo ai danni del solo Trentino, sollevando la dura e decisa contrarietà da parte del nuovo governatore, l’autonomista Ugo Rossi: “l’autonomia speciale del Trentino subisce da alcuni anni continui scavalcamenti da parte dello Stato, tra l’altro in un clima di crescente negatività culturale verso la nostra specificità istituzionale. Il dato reale è che dal 2009, anno del noto ‘Accordo di Milano’ tra Provincia e Governo in materia di rapporti finanziari, il Trentino non gode più di alcun privilegio. Oggi ci battiamo quindi per avere regole certe ed eque riguardo alla dotazione finanziaria della Provincia. Nel contempo siamo pronti a impugnare la legge di stabilità che il Parlamento si appresta a varare, laddove prospetta prelievi spropositati, fino al 30% del complessivo bilancio Pat”.

Rossi ha spiegato in Consiglio provinciale che il tentativo in atto da parte del Governo provinciale è quello di stabilire con lo Stato un nuovo sistema di calcolo dell’autonomia finanziaria della Provincia di Trento, basato sull’allineamento del Trentino al cosiddetto “residuo fiscale” medio delle Regioni ordinarie dell’Italia settentrionale. Significherebbe cancellare, nero su bianco, tutti i luoghi comuni riguardanti i privilegi fiscali dell’autonomia speciale: il Trentino avrebbe proporzionalmente la stessa dotazione finanziaria dei territori confinanti, con la differenza di poterne gestire la larghissima parte in autogoverno locale, lasciando allo Stato solo pochissime competenze residue. L’accordo passerebbe – aspetto peraltro già nel disegno di legge di stabilità 2014 – per l’incremento ulteriore delle competenze provinciali, con passaggio a Trento in particolare di quella sui tributi locali e delega da parte dello Stato a svolgere anche le funzioni amministrative (e solo quelle) riguardanti amministrazione della giustizia e Parco dello Stelvio.

L’obiettivo dell’accordo con lo Stato non appare comunque agevole. Si assiste ad una successione caotica di nuove pretese finanziarie da parte di Roma. Gli strumenti di prelievo che sfuggono alle regole statutarie sono sostanzialmente quattro: 1) il continuo ricordo alla cosiddetta “riserva all’erario”, prevista sì dalle norme di attuazione dello Statuto, ma solo per circostanze ben delimitate; 2) gli accantonamenti imposti alla Provincia, cui si trasferiscono somme impedendone però la spesa; 3) le misure puntuali di concorso al risanamento dei conti pubblici, applicate anche alla Provincia in spregio alle sue prerogative di autogoverno; 4) i miglioramenti del saldo del Patto di stabilità nazionale, che si traducono ancora in quote di bilancio congelate e non spendibili.

Rossi in Consiglio ha letto un aggiornato documento sulle “Problematiche istituzionali e finanziarie nei rapporti stato-provincia dopo l’accordo di Milano”, che fa il punto della situazione e dal quale emerge che le “pretese finanziarie” dello Stato alla Pat, eccedenti le regole ordinarie dello Statuto ammontano a 1,4 miliardi di euro (compresi i prelievi concordati nel 2009 con l’Accordo di Milano). Si tratta di una somma parti al 30% dell’attuale bilancio (4.523 milioni di euro) e che incide sul bilancio del Trentino in misura del doppio rispetto alla Sardegna, di 2 volte e mezza rispetto alla Sicilia, del 33% in più rispetto al Friuli.

Residuo fiscale del Trentino (ossia il saldo tra le entrate tributarie e quanto lo Stato eroga al Trentino con i trasferimenti ordinari al Trentino o con servizi diretti ai cittadini): ammonta attualmente a poco meno di 500 milioni di euro ed è questa la somma totale che la Provincia propone allo Stato di fissare come contributo al risanamento dei conti nazionali, in allineamento con il residuo fiscale delle Regioni ordinarie del Nord.

Rossi ha chiarito che il costo relativo all’assunzione delle nuove competenze delegate dallo Stato è stato quantificato in 65 milioni di euro l’anno, che lo Stato propone di scomputare dai 140 milioni di euro/anno pretesi a titolo di riserva all’erario per i prossimi anni.