Italia nuovo record per il debito pubblico: 2.530,6 miliardi

Gli effetti della crisi economica e di scelte politiche errate si riflettono sull’andamento dei conti pubblici che, secondo Bankitalia, registrano 100 miliardi di nuovo fabbisogno su base annua.

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debito pubblico

Bankitalia comunica un nuovo record del debito pubblico italiano che a fine giugno 2020 ha superato una nuova, poco invidiabile, vetta di ben 2.530,6 miliardi, 20,5 miliardi in più rispetto a maggio. La liquidità del Tesoro tiene, a dispetto delle indiscrezioni che parlavano di tensioni, poi smentite da Via XX Settembre: le disponibilità liquide del Tesoro si sono leggermente ridotte (-0,8 miliardi) ma restano pur sempre a 60,7 miliardi. 

I titoli italiani in mani estere restano stabili sopra il 30% del totale dopo che ad aprile avevano segnato il minimo da maggio 2019: a maggio sono a 677,315 miliardi di euro. Il fabbisogno, tuttavia, ha messo le ali: scende a 20,6 miliardi a giugno dai 25,6 miliardi di maggio, ma basta raffrontarlo agli appena 461 milioni di giugno 2019, o osservare il dato cumulato degli ultimi 12 mesi, che sfiora i 100 miliardi, cifra mai vista negli ultimi anni.

Un dato legato a doppio filo con la crisi economica causata dalla pandemia da Coronavirus, con la netta flessione delle entrate tributarie: a giugno sono scese di 6,5 miliardi a 26,2 miliardi, con una perdita di gettito di un quinto rispetto a un anno prima, mentre sull’arco del primo semestre 2020 sono diminuite di 19,4 miliardi a 169,9 miliardi, con una perdita secca del 10,3%.

Un peggioramento dovuto sia alla sospensione di alcuni versamenti fiscali rinviati di qualche mese per oggettiva mancanza di liquidità da parte del sistema produttivo bloccato dalla pandemia da Coronavirus per due mesi, ma anche da scelte politiche che, con il senno del poi, hanno puntato più all’assistenzialismo che al reale rilancio dell’economia nazionale, dove a fronte di ingenti interventi a sostegno della cassa integrazione, per il sostegno di imprese e professioni il governo BisConte ha fatto poco e male.

Per la parte finale dell’anno le previsioni non sono buone, legate a doppio filo ad una probabile recrudescenza del Coronavirus che già in queste settimane ha dato ampi segnali di essere ancora presente e in forza in molte realtà italiane ed europee. Secondo la recente previsione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, lo Stato italiano pare avviato a chiudere il 2020 con un debito a quota oltre il 160% del Pil, con qualche economista privato che si avvicina al 170% in virtù dei rischi globali (come l’ipotesi di una seconda ondata dei contagi). 

Un debito pubblico che si amplia anche per via del crollo più ampio del previsto del Pil: a fronte di una stima di calo più ampia del -10,4% dell’Ufficio parlamentare di bilancio, la Commissione europea prevede per l’Italia del governo BisConte un -11,2%, il Fmi un -12,8%, l’Ocse -11,3%. 

Senza considerare le incognite circa il futuro esito delle moratorie sui prestiti, che potrebbero facilmente tradursi in una fiammata di crediti andati a male, riflettendosi anche sulla capacità di erogare credito del sistema bancario nazionale, così come la partita futura sul blocco dei licenziamenti che sarebbe meglio allentare al più presto progressivamente per evitare di arrivare ad una scadenza in blocco che potrebbe fare saltare gli equilibri sociali con la previsione di oltre un milione di licenziamenti a seguito della chiusura di molte piccole e medie attività, quelle che del sostegno pubblico hanno visto solo le briciole.

L’economia nazionale è caduta in una sorta di circolo vizioso dove, da una parte, c’è la maggioranza di governo sostenuta dai sindacati che punta a proseguire ad oltranza nell’assistenzialismo a favore dei soliti soggetti tutelati (dipendenti pubblici, pensionati e dipendenti del privato) mentre, dall’altra parte, c’è il vastissimo mondo dell’impresa e del lavoro autonomo cui la maggioranza delle quattro sinistre del governo BisConte ha erogato sole poche centinaia di euro e, con ingiustificabile ritardo, si appresta solo ora, a oltre due mesi dall’annuncio, si appresta ad erogare i 1.000 euro di maggio a favore dei professionisti ordinistici, la categoria trattata peggio di tutte.

Visto che i soldi per mandare avanti il Paese non piovono dal cielo ne tantomeno dall’Europa (le trombette governative si affannano a suonare a pieni polmoni il ritornello dei famosi 210 miliardi di euro del fondo europeo per la ricostruzione, quando al netto dei versamenti che l’Italia dovrà fare per alimentare la sua quota di fondo, le disponibilità effettive si riducono a circa 25 miliardi di fondo perduto e a un centinaio di miliardi abbondante di nuovo debito pubblico, seppure a condizioni migliori di quelle del mercato del debito pubblico), ne è possibile continuare all’infinito con l’assistenzialismo (anche se qualcuno sogna di estendere il reddito di cittadinanza per una sorta di diritto di nascita), sarebbe ora di interrogarsi su come fare ripartire l’economia, partendo dalla produzione e dai consumi.

Fino ad ora la crisi da Coronavirus ha assorbito oltre 100 miliardi di nuovo debito, portando l’esposizione in capo a ciascuno degli italiani, dal neonato all’ultracentenario, oltre quota 42.000 euro e non è possibile proseguire ulteriormente. Visto l’insuccesso di provvedimenti costosi come “quota 100” e del reddito di cittadinanza (oltre che provvedimenti ingiustificabili contenuti nel nuovo decretoAgosto”, come il fondo per la riqualificazione delle casalinghe da 3 milioni che, per ciascuna delle 7,4 milioni di persone ufficialmente censite in Italia fanno ben 40 centesimi ciascuna!), sarebbe utile puntare su interventi che diano linfa alla ripresa della produzione, ad iniziare da un rilancio dell’iperammortamento che ha dato buona prova di sé (e come tante cose buone cancellate dal governo BisConte) magari esteso a più tipologie di beni e di categorie, un taglio a costo zero della burocrazia che asfissia tutto il Paese, imprese, professionisti e anche privati cittadini, e un deciso taglio delle tasse per far sì che il Paese sia nuovamente competitivo e attrattivo degli investimenti esteri.

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