Palazzetto Bru Zane decolla il festival “La musica all’epoca di Napoleone Bonaparte”

Partenza scoppiettante con Judith van Wanroij, Philippe Hattat e il Quatuor Cambini-Paris che affascinano l’affezionato pubblico del Palazzetto.  Di Giovanni Greto

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Il Palazzetto Bru Zane continua a far conoscere le opere di compositori francesi del Grande Ottocento(1780 – 1920), che non meritano l’oblio in cui sono caduti. Molti di costoro, accanto ad altri, italiani, scoperti da Napoleone durante la campagna d’Italia, sono stati i protagonisti di un applaudito Recital che ha inaugurato, secondo una felice consuetudine alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, il nuovo Festival del Centre de musique romantique française.

Il programma proponeva trascrizioni, alla maniera dell’epoca, eseguite da Alexandre Dratwicki, Direttore artistico del Palazzetto, di brani d’opera interpretati in quel periodo da artisti di primo piano. Su tutti, il soprano Caroline Branchu, attiva all’Opéra tra il 1800 e il 1830, che conquistò Hector Berlioz, il quale la scoprì a Parigi nel 1820 e che fu la musa di Gaspare Spontini ed ebbe una relazione amorosa con Napoleone.

Nel nutrito programma, Arie di compositori francesi, Italiani ed una di Christoph Willibald Gluck. Dei primi, i musicisti hanno intonato l’Aria Il va venir da Phèdre (1786), un’opera di successo composta nello stile italiano da Jean-Baptiste Lemoyne, che si presentava come discepolo di Gluck, seppur da questi non riconosciuto; l’Aria Il lira dans mon coeur da la Mort d’Adam (1809) di Jean-François Le Sueur (1760-1837), Maestro di cappella a Notre-Dame, professore al Conservatorio di Parigi, protetto da Napoleone che lo nominerà Maestro della sua Cappella alle Tuileries; l’Aria Bannissons, mes chers fils da Médée et Jason , di Georges Granges de Fontenelle, un’opera eseguita nell’agosto del 1813 dopo anni d’attesa senza riscuotere un grande successo; la Romance Vaillant guerrier da Valentine de Milan (1822) di Etienne-Nicolas Méhul, che conobbe i suoi maggiori successi in un nuovo genere di Opéra-Comique, contraddistinto da uno stile eroico, secondo le aspettative del pubblico nel periodo della Rivoluzione.

Degli italiani, i musicisti hanno interpretato le Arie Epaissis tes ombres funèbres da Les Abencerages (1813) e Jeunes filles da Anacréon (1803), due opere  di Luigi Cherubini, compositore stimato, tuttavia messo in disparte dalle scene parigine a causa di una reputazione di controrivoluzionario e di rapporti difficili con Napoleone; l’aria Par les larmes dont votre fille da Les Danaides (1784) di Antonio Salieri, nominato Maestro della cappella imperiale nel 1788; l’Aria Dieu! Ce n’est pas pour moi da Edipo a Colono (1786) di Antonio Sacchini, il quale in quest’opera dissolve il principio strutturale dell’aria, mentre il coro assume una funzione coloristica che precede e annuncia l’imminente arrivo dell’atmosfera romantica; l’Aria Toi que je laisse sur la terre da la Vestale (1807), tragedia lirica in tre atti, uno dei capolavori di Gaspare Spontini, considerato l’iniziatore del grand-opéra romantico. Sarà rappresentata a Parigi il prossimo 22 giugno, nell’ambito del nono festival Palazzetto Bru Zane Paris; l’Aria Non, ce n’est plus pour moi da Didon (1783) di Niccolò Piccinni, richiesto come maestro dalla regina Maria Antonietta, e diventato anche direttore del Théatre – Italien di Parigi. Di Gluck, si è ascoltata l’Aria L’ai-je bien entendu?, da Iphigenie en Aulide, che trionfò a Parigi nel 1774.

Accanto ai brani cantati, forse anche per far rifiatare la brava inetrprete, il Quatuor ha eseguito un movimento per ognuno dei quartetti di diversi compositori selezionati: Hyacinthe Jadin, Pierre Baillot, Giuseppe Maria Cambini, George Onslow. Eccellente la sonorità e la tecnica dei musicisti, che suonano su strumenti d’epoca: Julien Chauvin, primo violino; Karine Crocquenoy, secondo violino; Pierre-Eric Nimylowycz, viola; Sakai Atsushi, violoncello.

Specializzatasi anche in musica barocca francese, la soprano olandese Judith van Wanroij, a tratti delicata, a tratti veemente, secondo le diverse esigenze interpretative, ha ipnotizzato il numeroso pubblico accorso. Visti gli applausi, l’organico ha concesso l’ascolto di un’ulteriore Aria da La Vestale: O des infortunés déesse tutélaire.

Nell’intimità della sala-concerto del Palazzetto Bru Zane, il pomeriggio seguente ho assistito ad un ottimo lungo concerto – due ore esatte senza intervallo, rispetto all’ora e un quarto segnata nel programma di sala – di un giovane pianista, classe 1993, organista e compositore, nonché appassionato di linguistica storica, comparata e fonetica: Philippe Hattat.

In una giornata di pioggia che non capitava da tempo, un concerto di pianoforte solo è quello che ci vuole per scaricare la tensione determinata dal brutto tempo meteorologico e ritrovare una piacevole sensazione di rilassamento.

Il programma ha voluto mostrare l’interesse dei compositori francesi per il nuovo fenomeno strumentale di inizio secolo, il piano-forte, cui il Conservatorio di Parigi, sin dal momento della sua fondazione nel 1795, riservò un posto speciale, dedicandogli sei e poi undici classi.

Quattro dei sei autori ascoltati – Hélène de Montgeroult, Hyacinthe Jadin, Jean-Louis Adam, François-Adrien Boieldieu – furono i primi docenti del Conservatorio. La loro scrittura, tra classicismo e preromanticismo, è pensata essenzialmente per i salotti, poiché lo strumento non è ancora abbastanza sonoro per essere ascoltato in una sala da concerto e si vuole esplorare la possibilità dello strumento, dall’espressione del sentimento al virtuosismo. In repertorio anche Etienne-Nicolas Mehul e Ferdinand Herold.

Helene de Montgeroult viene considerata la più grande virtuosa della sua generazione. Fu messa sotto inchiesta durante la Rivoluzione, ma evitò la ghigliottina improvvisando eloquenti variazioni sul tema della Marsigliese davanti al Comitato di Salute pubblica. Prima donna nominata docente nel 1795 al Conservatorio parigino, annovera tra le sue opere più importanti il Cours complet pour l’enseignement du pianoforte, una importante raccolta che riunisce più di un centinaio di studi di difficoltà progressiva in uno spirito rispettoso della struttura classica e al tempo stesso precursore del Romanticismo imminente. Hattat ha eseguito due brevi Etude: il n. 66 pour les basses faites a contre temps e il n. 104 pour la difficulté du ton dans un mouvement agité e la Sonate op. 5 n. 3 en fa diése mineur, conclusa da un bel finale in tempo di Presto.

François-Adrien Boieldieu, ex chierichetto a Rouen, impara l’organo prima di comporre circa 40 opere liriche, concerti, romanze, pezzi di musica da camera e Sonate, come quella op. 2 n. 1 en fa mineur, ascoltata al Palazzetto, suddivisa nei movimenti Andante doloroso e Rondò, estremamente cantabile e saltellante in tempo di Allegretto.

Di Etienne-Nicolas Méhul, compositore di opere, sinfonie e sonate, Hattat ha eseguito la Sonate op.1 n. 3 en la majeur, nei movimenti Allegro, Menuetto e Rondò, quest’ultimo veloce, gioioso e oltremodo cantabile.

Hyacinthe Jadin, cresciuto in un ambiente artistico, dominato dal padre fagottista e dal fratello maggiore Louis-Emmanuel, pianista e compositore, diviene egli stesso pianista, dando vita ad una duplice carriera di concertista e compositore. Hattat ha interpretato due Sonate, la op. 4 n. 1 en si bemol majeur in tre movimenti, con cambio di tonalità nell’ultimo (Finale: Presto) e la op.3 n. 2 en sol mineur in due movimenti, con un Finale : Allegro non troppo , caratterizzato da molte note basse e un’accentuata percussione.

Ferdinand Herold, iscritto a 15 anni al Conservatorio di Parigi, vede premiata la sua tenacia negli studi, dalla vittoria, nel 1812, del Prix de Rome, che gli frutta un soggiorno in Italia, durante il quale prende coscienza della propria vocazione di compositore drammatico. Al Palazzetto si è ascoltata la Sonate op. 9 en la bemol majeur nei movimenti Allegro moderato assai – Adagio – Rondò : Moderato.

Il brano conclusivo, Grande Sonate op. 9 en si majeur, in tre movimenti, fa parte del repertorio di Jean-Louis Adam, clavicembalista e autodidatta nello studio di violino, arpa e composizione, il quale dedicò la propria vasta produzione, comprendente sinfonie, pagine di musica da camera e pezzi vocali, soprattutto alle opere per tastiera. Per la sua longevità, Adam è testimone attivo nella trasformazione della scrittura per clavicembalo, sul quale egli stesso si è formato, in quella per pianoforte. Nella Sonata ascoltata, c’è un che di maestoso, ma giocoso nello stesso tempo, forse per sottolineare che essere seri è un qualcosa di relativo. In evidenza, un simpatico ritornello, scherzoso, che mi ha ricordato quelli utilizzati per commentare le comiche del cinema muto o, in tempi più recenti, quelli per introdurre un quiz nei programmi della Tv di stato in bianco e nero. Questo ritornello viene ripetuto più volte, suonato ad un volume sempre più forte.

Applausi ripetuti e prolungati rendono felice il pianista, che non sembra risentire della fatica di affrontare un Recital così impegnativo, al punto da regalare un breve bis: l’Etude n. 106 di Helene de Montgeroult.

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