L’imposta sugli extraprofitti fa il bis lasciando il fisco a secco

Dopo il fallimento di quella energetica, ora tocca a quella sulle banche. Nel bilancio dello Stato si apre un nuovo buco: oltre a quello da 11 miliardi del 2022 ora ne arrivano altri due.

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L’imposta sugli extraprofitti fa il bis incassando un nuovo fallimento lasciando il fisco nuovamente a secco, scavando un nuovo buco nei conti pubblici e sputtanando nuovamente quei politici (a partire dal leghista e vicepremier Matteo Salvini) che tuobnarono contro gli speculatori e gli affamatori del popolo.

Dopo il flop del 2022 sull’atteso gettito di ben 11 miliardi dall’imposta sugli extraprofitti del comparto energetico ridottosi a poca cosa in termini di incassi per il fisco che ha scavato un primo ampio buco nei conti pubblici, ora tocca ai profitti miliardari conseguiti dalle banche italiane grazie al rialzo dei tassi di interesse che non andranno ad alimentare, neanche in piccola parte, il bilancio dello Stato.

Il sistema bancario ha deciso praticamente all’unanimità di avvalersi della facoltà di destinare a riserva non distribuibile un ammontare pari a 2,5 volte il valore dell’imposta. Le sole grandi banche quotate – Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Mps (quest’ultima posseduta dal ministero delle Finanze!), Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca – hanno risparmiato circa 1,8 miliardi di euro di imposta sugli extraprofitti rimpolpando con 4,5 miliardi di euro il proprio patrimonio.

Il mancato incasso per lo Stato sarà però più consistente, abbondantemente oltre i due miliardi: oltre a qualche piccola banca quotata e che ancora manca all’appello, dovrebbero dribblare l’imposta anche il Credit Agricole, per cui si stima un conto di poco inferiore ai 90 milioni, e Bnl, oltre a tutto il sistema del credito cooperativo, che difficilmente indebolirà la propria capacità di fare credito per rimpinguare le casse del fisco.

L’imposta sugli extraprofitti era stata annunciata a sorpresa dal governo ad agosto, con il ministro delle Infrastrutture e vicepremier, Matteo Salvini che, al termine del consiglio dei Ministri, aveva parlato tronfiamente di una norma «di equità sociale» e di un prelievo di «alcuni miliardi» a carico del sistema bancario, successivamente quantificati dal governo in 2,5-3 miliardi di euro.

L’annuncio aveva provocato un tracollo del sistema creditizio in Borsa, con una decina di miliardi di capitalizzazione andata in fumo grazie all’ennesima salvinata che ha penalizzato specie i piccoli investitori, tra l’irritazione dei vertici del sistema bancario, il malumore degli investitori internazionali e la preoccupazionedella Bce, che non aveva lesinato critiche a un provvedimento che rischiava di indebolire la posizione patrimoniale e la capacità creditizia delle banche.

Difesa in un primo tempo dalla premier Giorgia Meloni – che aveva parlato di un prelievo sui “margini ingiusti delle banche” per “finanziare le misure a sostegno delle famiglie e delle imprese” – la norma era poi stata rivista, soprattutto per il pressing di Forza Italia. Era stata ridisegnata la modalità del calcolo del tetto dell’imposta – dallo 0,1% dell’attivo allo 0,26% dell’attivo ponderato per il rischio, che escludeva dal computo l’esposizione ai titoli di Stato – ma, soprattutto, era stata introdotta la possibilità di non pagare, destinando a riserva non distribuibile un multiplo pari a 2,5 volte l’imposta. Un’opzione che, rafforzando il patrimonio delle banche, aveva il pregio di aumentare solidità e capacità creditizia degli istituti. E che il sistema bancario italiano ha colto al volo, senza farsi pregare.

«Dopo l’annuncio in grande stile a reti unificate in cui Meloni si è presentata come castigamatti delle banche» il governo ha fatto l’ennesima marcia indietro, «corretto la norma per renderla compatibile con la ragionevolezzae le regole, fino a renderla un guscio vuoto: il fatto che, mettiamola così, anche Giorgetti attraverso il Mps controllato dal Mef eluda la tassa della Meloni, è la fine grottesca di uno dei tanti esempi del populismo degli annunci che caratterizza questa maggioranza» commenta sarcastico il deputato di Più Europa, Benedetto Della Vedova. Ma più che alla Meloni, il conto andrebbe presentato ad un Salvini che ogni giorno che passa si dimostra sempre più inadeguato al suo ruolo di ministro della Repubblica e di vicepremier.

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