Ipertrofia legislativa italiana: troppe leggi, nessuna certezza del diritto

Secondo la Cgia il Belpaese ne ha dieci volte in più di Francia, Germania e Regno Unito messi assieme.

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ipertrofia legislativa italiana

L’ipertrofia legislativa italiana è un unicum, non benefico, dove una qualche norma, cavillo, pandetta non si nega a nessuno, salvo poi dimenticarsi di semplificare il quadro normativo, di sincronizzarlo e di aggiornarlo per evitare la sovrapposizione e il conflitto di norme, spesso anche ultrasecolari – perché in Italia vigono ancora pienamente regi decreti di Casa Savoia – tanto che oggi si stima che il Belpaese sia seduto su una montagna di ben 160.000 norme, tra leggi, regolamenti, ordinanze, ecc., di cui poco più di 71.000 approvate a livello nazionale e le rimanenti 89.000 promulgate dalle regioni e dai vari enti locali. Un groviglio legislativo che è 10 volte superiore al numero complessivo, pari a 15.500, di provvedimenti di legge presenti in Francia (7.000), in Germania (5.500) e nel Regno Unito (3.000)

L’Ufficio studi della CGIA si è preso la briga di mettere in riga alcuni dati relativamente all’ipertrofia legislativa italiana, situazione che in larga parte ascrivibile a due fattori: la mancata soppressione di leggi concorrenti, una volta che una nuova norma viene approvata definitivamente; al sempre più massiccio ricorso ai decreti leggeche, per la loro natura, richiedono l’approvazione di ulteriori provvedimenti (decreti attuativi).

Questa sovraproduzione normativa ha ingessato il funzionamento della pubblica amministrazione con ricadute pesantissime soprattutto per gli imprenditori di piccole dimensioni. Di fronte a questo dedalo normativo il pesodella burocrazia e i ritardi decisionali in capo agli uffici pubblici hanno reso la pubblica amministrazione italicatra le meno efficienti e più caotiche d’Europa.

Il cattivo funzionamento della macchina pubblica provoca degli oneri in capo alle imprese molto pesanti. Secondo alcune stime, nell’anno precedente all’avvento del Covid l’espletamento delle procedure amministrative richieste dalle istituzioni pubbliche al sistema delle imprese italiane ha sottratto a queste ultime ben 550 ore di lavoro a ciascuna realtà che, tradotte in euro, equivalgono ad un costo complessivo pari a 103 miliardi di euro, di cui 80 sulle spalle delle Pmi e 23 su quelle delle grandi imprese.

Oltre a essere tantissime e in molti casi in contraddizione tra loro, queste leggi sono tendenzialmente scritte male e incomprensibili ai più, per cui applicarle è molto difficile. Questa situazione di incertezza e di confusione interpretativa ha rallentato l’operatività degli uffici pubblici. Di fronte a un quadro così deprimente, i dirigenti pubblici acquisiscono sempre più potere quando stabiliscono scientemente di rinviare o bloccare una decisione. Con tante, troppe regole, la discrezionalità dei funzionari aumenta e, conseguentemente, anche le posizioni di rendita di questi ultimi, salgono al crescere del valore economico del provvedimento da deliberare. Un corto circuito che in molti casi innesca comportamenti corruttivi o concussivi, purtroppo, molto diffusi in tutta Italia. E l’ipertrofia legislativa italiana mette in condizione di sudditanza cittadini ed imprese.

Secondo l’Ufficio studi della CGIA, per uscire dalla palude bisogna diminuire le norme presenti nell’ordinamento. Altresì, è necessario che queste leggi siano scritte meglio, cancellando le sovrapposizioni esistenti tra i vari livelli di governo, bandendo il burocratese e imponendo, in particolar modo, un monitoraggio periodico sugli effetti che queste producono, soprattutto in campo economico. E’ necessario semplificare le procedure e introdurre controlli successivi rigidissimi, incentivando il meccanismo del silenzio-assenso, senza dimenticare che bisogna digitalizzare i processi produttivi di tutti i soggetti pubblici, obbligando il dialogo tra le loro banche dati per evitare la duplicazione delle richieste che periodicamente travolgono cittadini e imprenditori ogni qual volta si interfacciano con uno sportello pubblico.

Infine, come ha proposto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, bisogna abolire l’abuso d’ufficio. Nonostante l’intervento legislativo introdotto dall’indimenticato governo Conte 2, non sta venendo meno il ricorso alla “burocrazia difensiva” da parte di molti funzionari pubblici, perché la misura legislativa non incide sulle denunce, che una volta presentate, impongono di condurre le indagini. Tale situazione continua a provocare la cosiddetta “fuga dalla firma”, rallentando enormemente lo smaltimento delle pratiche nell’edilizia, nell’urbanistica e nel settore degli appalti. Per contro, infine, vanno premiati i dirigenti/funzionari che si comportano correttamente e rendono efficienti le proprie aree di lavoro: l’aumento della produttività, anche nel pubblico, va riconosciuto economicamente.

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