Umberto Benedetti Michelangeli dirige l’Orchestra del Teatro La Fenice

Al Teatro Malibran pagine famose di Mozart e Beethoven. Di Giovanni Greto

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teatro la fenice

Dopo la pausa estiva, la Fenice ha ripreso la programmazione al Teatro Malibran, con un concerto sinfonico di alcune opere celeberrime di Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791) e Ludwig van Beethoven (1770 – 1827), affidate ad Umberto Benedetti Michelangeli (1952), nipote del famoso pianista Arturo (1920 – 1995), il quale ha diretto con fermezza la brillante Orchestra del Teatro.

La scelta di Mozart è stata motivata per celebrare il duecentocinquantesimo anniversario del suo lungo soggiorno in laguna, in occasione del viaggio in Italia, nel 1769, insieme al padre Leopold. Mozart, che risiedeva a pochi metri dalla Fenice – come indica una targa posta vicino al ponte dei Barcaroli -, pur ancora tredicenne, partecipava attivamente alla vita della città, sia sul versante mondano, che in quello artistico, al punto che gli venne commissionata un’opera, purtroppo mai andata in scena.

In apertura è stata eseguita l’Ouverture da Le nozze di Figaro – opera rappresentata per la prima volta al Burgtheater di Vienna il primo maggio del 1786 –, un movimentato Presto in Re maggiore , durato approssimativamente cinque minuti, in cui emergono la sensualità, la freschezza cantabile, l’inquietudine che convive assieme alla leggerezza nella musica del genio di Salisburgo. Ottima la sonorità dell’Orchestra, emersa grazie anche alla rinnovata acustica del Teatro.

Con un organico cospicuo, poco più di trenta elementi, l’Orchestra ha successivamente eseguito una delle composizioni giovanili di Beethoven, pubblicata, con alcune revisioni, nel maggio 1801 dall’editore viennese Mollo: il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra in Do maggiore, op.15. Composto fra il 1795 e il 1798, venne probabilmente eseguito da Beethoven a Praga nella Konviktsaal durante la tournee concertistica dell’ottobre 1798. Suddiviso in tre movimenti – Allegro con brio; Largo; Rondò. Allegro scherzando – il concerto aderisce alla perfezione ai canoni disimpegnati del gusto viennese.

Il primo movimento è in gran parte vicino alla tradizione del concerto militare, come si evince dal lavoro dei timpani, che scandiscono un tempo marziale, assai apprezzato dal pubblico di fine Settecento. Molto delicato ed agile il fraseggio del pianoforte, sia negli interventi solitari che in quelli solistici, con il sostegno dell’orchestra.

Il Largo è il centro espressivo dell’opera, un dolce, armonioso pezzo tematico in La bemolle maggiore, che ben si presterebbe a commento di una narrazione filmica. E infatti mi ha ricordato certi paesaggi sonori tipici di Ennio Morricone, che forse l’avrà ascoltato, traendone felice ispirazione. Da segnalare, l’emergere del primo clarinetto che dà vita ad un dialogo cameristico, insistito e fecondo, con il pianoforte. Il movimento si conclude con un pensoso calando in pianissimo nei lenti arpeggi della tastiera, subito però scompaginato dal sopraggiungere del Rondò, seguito da un Allegro scherzando, dotato di una trascinante carica ritmica.

Nell’andatura briosa, il pianista – il giovane, ma già più che promettente Gabriele Strata (Padova, 9 giugno 1999), vincitore della 35esima edizione del Premio Venezia con 10 e lode e menzione d’onore – ha dato sfoggio della propria abilità virtuosistica, specialmente nei momenti in cui la mano sinistra scavalca la destra in un velocissimo tourbillon fra i differenti registri della tastiera, oppure attraverso una specie di rapida botta e risposta con il flauto traverso e l’oboe.

La serata si è conclusa con l’ascolto di una delle tre ultime sinfonie di Mozart, la n. 40 in sol minore, KV 550 – le altre sono la n. 39 in Mi bemolle maggiore, K 543 e la n. 41 in Do maggiore Jupiter, K551, composte a Vienna nel 1788, nel giro di 45 giorni: dal 26 giugno (la 39), al 25 luglio (la 40) al 10 agosto (la 41) -. Uno dei periodi più tormentati dell’esistenza del compositore, deluso per il debole successo viennese del “Don Giovanni” e trasferitosi in una casa alla periferia di Vienna pochi giorni prima, in seguito a ristrettezze economiche.

Due sole volte Mozart scrisse sinfonie in tonalità minore – la prima produsse la K 183 del 1773 – e in entrambi i casi si tratta del Sol minore che invocava in lui colori cupi e atmosfere patetiche e violentemente agitate. La Sinfonia n°40 è però la prediletta nell’età romantica e continua ad essere la più popolare tra tutte le sinfonie di Amadeus.

Suddivisa in quattro movimenti, – Molto Allegro; Andante; Minuetto e Trio; Allegro assai – si ricorda soprattutto il primo tema in sol minore del Molto allegro, eseguito dai violini, che sorge sul brusio delle viole e introduce un’atmosfera inquieta e febbrile.

L’Andante, l’unico movimento in una tonalità maggiore (Mi bemolle) ha un andamento cullante alla siciliana ed è arricchito da ornamentazioni violinistiche di gusto galante.

Il Minuetto non sembra rivelare le caratteristiche della danza settecentesca, utilizzando piuttosto uno stile contrappuntistico severo. Al centro si apre un Trio che scioglie il tono severo della danza, per lasciare spazio alla nostalgia idilliaca.

L’Allegro assai finale si riallaccia per spirito, dimensioni e struttura al movimento iniziale, con l’aggiunta tuttavia di un furore creativo e di una conclusione rapida e inesorabile, dove il lato selvaggio e demoniaco della composizione viene esasperato.

Diligente e precisa, l’Orchestra del Teatro La Fenice ha evidenziato un piacevole amalgama, anche se in alcuni musicisti ha destato una certa perplessità il fatto che il direttore abbia deciso di rallentare tantissimo l’ultimo movimento.

Applausi generosi e richiami, soprattutto per il giovane pianista, che ha ringraziato la platea eseguendo il Valzer in Do diesis minore, op. 64 n. 2 di Chopin, l’autore che assieme a Sergej Prokofiev, Gabriele Strata aveva selezionato nella competizione per guadagnare il premio Venezia.

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