Unioncamere Veneto: dal Coronavirus un conto salatissimo per il comparto turistico

Ripercussioni negative anche per il Pil della regione. Pozza: «il settore impiega oltre 200.000 addetti in 35.484 imprese turistiche attive». 

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Dall’epidemia di Coronavirus un conto salatissimo per il comparto turistico del Veneto, prima regione d’Italia nel settore. Il 2019 si era concluso come un altro anno di successo per il settore turistico. Gli arrivi nel 2019 sono stati più di 19 milionie le presenze hanno toccato oltre 69 milioni. Un risultato eccezionale, reso possibile grazie alla sinergia tra istituzioni, territori e operatori di settore.

Alla luce di quanto accaduto durante un mese di epidemia da Coronavirus queste valutazioni sembrano un passato lontano. «Questi dati complessivi ci offrono il peso specifico del settore del turismo sul sistema economico della nostra regione. Il turismo ha un effetto volano enorme sulla nostra economica – spiega il presidente di Unioncamere Veneto, Mario Pozza – ed oggi è evidente che questo settore rischia di chiudere per Coronavirus. L’emergenza e le restrizioni non solo lo hanno messo in ginocchio, ma ci sono diverse realtà che rischiano di non riaprire. E questo sarebbe un durissimo colpo per il Pil della nostra regione, ma anche per quello dell’intero Paese».

Secondo i dati elaborati da Infocamere, il comparto turistico vede attive in Veneto al 29 febbraio 2020 35.484 imprese che impiegano quasi 200.000 addetti totali e realizzano un valore della produzione superiore ai 7 miliardi di euro. A livello provinciale, un quarto delle imprese turistiche si concentra nella provincia di Venezia (8.891, il 25,1%). La seconda provincia per consistenza di imprese del settore è Verona (7.414, il 20.9%), seguita da Padova (5.469, 15,4%), Treviso (5.154, 14,5%) e Vicenza (4.976, 14%). In provincia di Belluno e Rovigo il numero di imprese è più basso, rispettivamente pari a 1.931 (5,4%) e 1.646 (4,6%).

Per quanto riguarda la forma giuridica quasi la metà (48%) è costituita da imprese individuali, le più esposte agli effetti dell’epidemia anche per la minore capacità economica, il 31,5% da società di persone, il 19,1% da società di capitali e solo l’1,4% si costituisce in un’altra forma societaria.

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