“Start-up”: più di un’impresa su due chiude l’attività nei primi 5 anni di vita

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Deciso calo delle imprese dell’artigianato, ma anche gli altri settori non vanno bene. A pesare soprattutto l’eccessivo carico fiscale e troppa burocrazia

startup business planning structure strategySecondo un’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia, più di una  impresa su due (precisamente il 55,2%) chiude i battenti entro i  primi 5 anni di vita. Un dato molto preoccupante che evidenzia la grave difficoltà che stanno vivendo le imprese, soprattutto quelle guidate da neoimprenditori.

«Troppe tasse, una burocrazia che non allenta la morsa e la cronica mancanza di liquidità – dichiara Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre – sono i principali ostacoli che hanno costretto molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. E’ vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dell’autoimpresa senza avere alcuna esperienza e/o le competenze necessarie, tuttavia questa percentuale di chiusura così elevata è molto preoccupante, anche perché continua ad aumentare di anno in anno».

Se nel 2004 il tasso generale di mortalità si attestava al 45,4% (ovvero la percentuale di imprese ancora in vita dopo 5 anni sul totale delle imprese nate nell’anno di riferimento, ossia il 1999), dieci anni dopo la soglia è salita al 55,2%, quasi 10 punti in più. Per quanto concerne i settori, invece, la quota più elevata si riscontra nelle costruzioni (62,7%), nel commercio (54,7%) e nei servizi (52,9%). Più contenuto degli altri, invece, è il dato dell’industria (48,3%).

A livello regionale, la situazione più pesante si registra nel Centro-Sud. Se la maglia nera spetta alla Calabria (58,5% di chiusure dopo 5 anni di vita), ad un’incollatura seguono il Lazio (58,1%), la Liguria (57,7%) che è l’unica regione del Nord nelle prime posizioni di questa graduatoria, la Sicilia (57,2%), la Sardegna (56,4%) e la Campania (56%). Le province autonome di Bolzano e di Trento (rispettivamente con il 45,8% e i 49,3%), la Basilicata (50,1%) e il Veneto (51,9%), invece, sono le realtà meno interessate da questo fenomeno.