La ricerca per i superconduttori passa attraverso la metallizzazione dell’idrogeno

La sfida mondiale coinvolge anche l’Università di Trento per ottenere nuovi strumenti per l’elettronica e per il settore dell’energia. 

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metallizzazione dell'idrogeno
La struttura cristallina dell'idrogeno ad altissima pressione.

Gli sforzi mondiali per la ricerca nel campo dei superconduttori passa attraverso la metallizzazione dell’idrogeno attraverso la compressione a pressioni estreme dell’elemento più diffuso (in combinazione con l’ossigeno a formare l’acqua) sulla Terra.

Prendere un gas (l’idrogeno) e comprimerlo fino a renderlo solido e resistente come il metallo. Uno studio di fisica teorica, che coinvolge anche l’Università di Trento, ha calcolato le caratteristiche fisiche (conducibilità elettrica, colore e lucentezza) e le proprietà chimiche di questo materiale al variare della pressione. I risultati dello studio sulla metallizzazione dell’idrogeno, di concezione italiana, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Physics, proprio mentre in Europa si annunciano ingenti investimenti di Germania e Francia nel settore.

La ricerca si inserisce in un filone internazionale che da decenni vede gruppi di tutto il mondo impegnati nel comprimere gli atomi di idrogeno per creare in laboratorio a temperatura ambiente un superconduttore dalle prestazioni molto elevate, che non si surriscalda e non disperde energia, di grande interesse per applicazioni nel settore energetico e dell’elettronica e in altre svariate situazioni che richiedano materiali in grado di funzionare anche in condizioni estreme. L’idrogeno metallico venne teorizzato per la prima volta oltre 80 anni fa e viene considerato una specie di “santo graal” dai fisici.

La strada per raggiungere la metallizzazione dell’idrogeno passa dallo schiacciare tra loro molecole di idrogeno (confinamento quantico) attraverso una pressione molto elevata di circa 500 GPa ovvero 500 gigapascal (equivalente al peso di cinquecento elefanti applicato sulla superficie di una moneta da un euro).

Di recente, tre studi sperimentali avevano riportato risultati in contraddizione. Uno studio di Harvard nel 2017, pubblicato su Science, ha osservato l’idrogeno annerirsi sopra i 300 GPa e poi diventare improvvisamente scintillante a 500 GPa (un tipico segnale di metallizzazione). Uno studio seguente del 2019, pubblicato su Nature Physics, ha misurato la conducibilità elettrica del campione, mostrando che metallizza a 360 GPa. Infine, ad inizio 2020, un terzo studio pubblicato su Nature, ha mostrato che l’idrogeno rimane trasparente se osservato con luce infrarossa fino a 420 GPa, quando diventa improvvisamente opaco. Ciascuno gruppo di autori affermava di essere stato il primo ad aver osservato la metallizzazione dell’idrogeno.

Matteo Calandra Buonaura, del Dipartimento di fisica dell’Università di Trento, assieme ai colleghi Lorenzo Monacelli e Francesco Mauri dell’Università La Sapienza di Roma e Ion Errea dell’Università dei Paesi Baschi, racconta: «abbiamo usato un modello teorico di avanguardia, da noi sviluppato, per poter simulare l’idrogeno ad alta pressione al computer, in modo da scoprire se ci fossero errori nei dati sperimentali, e da far chiarezza sui meccanismi di metallizzazione dell’idrogeno».

«Siamo stati molto sorpresi quando i risultati della simulazione hanno confermato tutti i dati sperimentali – spiegano i fisici -. L’idrogeno metallico è un materiale particolarissimo: non solo è un metallo nero (caso raro, come la grafite), ma è addirittura trasparente alla luce infrarossa, e questo lo rende unico».

Uno dei degli aspetti interessanti della ricerca è il raggiungimento della superconduttività a temperatura ambiente, anche se in presenza di pressioni elevatissime. Fino ad oggi, la superconduttività si conseguiva solo in condizioni molto delicate di criogenicità con temperature vicine allo zero assoluto, difficili da ottenere e, soprattutto, da mantenere nel tempo.

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