Italia sempre più paese di pensionati piuttosto che di lavoratori

Secondo l’Istat nel 2019 sono poco meno di 23 milioni i trattamenti pensionistici attivi a favore di 16 milioni di beneficiari per 301 miliardi di euro di spesa.

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Secondo l’ultima elaborazione effettuata dall’Istat, l’Italia è sempre più un paese di pensionati: nel 2019 sono poco meno di 23 milioni i trattamenti pensionistici erogati a 16 milioni di beneficiari, per una spesa pensionistica complessiva che raggiunge i 301 miliardi di euro (+2,5% rispetto all’anno precedente). 

Gran parte della spesa (273 miliardi, 90,6% del totale, 15% del Pil) è destinata alle pensioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti). Tra queste, più di due terzi (67,4%) sono pensioni di vecchiaia e anzianità che assorbono il 79,2% della spesa previdenziale. 

Il sistema di trasferimenti pensionistici impegna ulteriori 24 miliardi (8% della spesa complessiva) a favore di 4,4 milioni di beneficiari ai quali eroga prestazioni di tipo assistenziale, che comprendono le pensioni agli invalidi civili, ai non udenti civili e ai non vedenti civili, le indennità di accompagnamento, di frequenza e di comunicazione, le pensioni e gli assegni sociali e le pensioni di guerra. Si tratta di prestazioni erogate a favore di persone in condizioni di disagio per motivi economici e/o fisici il cui finanziamento è indipendente dal versamento di contributi. 

Alle prestazioni di tipo IVS e assistenziali si aggiungono 4,1 miliardi erogati a copertura di quasi 700.000 rendite dirette e indirette per infortuni sul lavoro e malattie professionali.

Il rapporto tra numero di pensionati e occupati è di 686 beneficiari ogni 1.000 lavoratori (era 757 nel 2000, primo anno della serie storica analizzata). Se si considerano solo i titolari di prestazioni IVS, il rapporto tra pensionati che hanno versato i contributi e i lavoratori che li versano scende a 602 ogni 1.000 lavoratori. Il rapporto è diminuito di quasi 6 punti percentuali nei sei anni successivi alla riforma del sistema pensionistico del 2012, mentre nei precedenti dodici anni si era ridotto di soli 2 punti.

L’andamento degli indicatori, la distribuzione territoriale delle pensioni e della relativa spesa risentono sia delle differenze nei livelli e nella dinamica dell’occupazione, sia della diversa struttura per età della popolazione delle regioni, mediamente più anziana nel Nord del Paese. 

Il 50,8% della spesa complessiva è erogata a residenti al Nord – principalmente in qualità di beneficiari di pensioni IVS -, il resto nel Mezzogiorno (28%), dove sono più diffuse le prestazioni assistenziali e al Centro (21,2%).

In rapporto alla popolazione residente, in media si calcolano 260 pensionati ogni 1.000 abitanti. Anche tenendo conto delle differenze territoriali nella struttura per età della popolazione, il tasso di pensionamento è più elevato al Nord (262 pensionati ogni 1.000 abitanti), a testimoniare una pregressa e continuativa partecipazione al mercato del lavoro di una parte più ampia della popolazione, scende nel Mezzogiorno (259) ed è in assoluto più basso al Centro (255).

Tipologie e cumulo di pensioni alla base delle disuguaglianze di reddito

La variabilità dell’entità dei trasferimenti pensionistici è dovuta a un insieme di fattori, primo tra tutti la presenza o meno di un pregresso contributivo. Le pensioni assistenziali, essendo finanziante dalla fiscalità generale, hanno importi generalmente più bassi. Anche tra chi ha versato contributi, l’importo della prestazione può essere variabile perché calcolato sulla base di normative diverse che tengono conto della retribuzione, dell’anzianità lavorativa, della composizione e del reddito familiare. Inoltre, ciascun beneficiario può essere titolare di più prestazioni cumulando così l’importo delle diverse categorie di pensione, nel rispetto dei vincoli reddituali e di compatibilità tra categorie di prestazione.

Nel 2019, sono 5,2 milioni (32,7% del totale) i beneficiari che cumulano due o più prestazioni, dello stesso tipo o di tipo diverso. La spesa destinata ai multi-titolari è di 123 miliardi (40,9% del totale dei trasferimenti, il 6,9% del PIL). Tra i beneficiari di pensioni di tipo diverso, la quota maggiore è rappresentata da quanti associano alla pensione di vecchiaia una ai superstiti (40,6%).

Oltre alle differenze di genere, l’analisi distributiva degli importi pensionistici evidenzia marcate disuguaglianze sia rispetto alle tipologie di pensioni ricevute sia rispetto al territorio di residenza, come testimonia la suddivisione in quinti dei beneficiari rispetto al livello di reddito. Se il reddito fosse distribuito allo stesso modo nella popolazione, a ciascun quinto di popolazione spetterebbe il 20% della spesa pensionistica. Nella realtà, invece, al quinto più povero è destinato il 5,2% del totale della spesa pensionistica, al 20% più ricco otto volte di più (42,3%). 

La diseguaglianza tra redditi pensionistici può inoltre essere analizzata considerando la categoria di prestazione. Tra i beneficiari di pensioni di invalidità, vecchiaia o superstiti (IVS), con alle spalle un pregresso contributivo, il 15,2% si colloca nel quinto più povero, percentuale che sale al 69,2% tra quanti godono soltanto di benefici assistenziali. Sempre tra questi ultimi, il quinto di popolazione con redditi pensionistici più bassi percepisce meno di 3.800 euro lordi annui. Chi associa una pensione assistenziale a una IVS quadruplica il valore soglia del primo quintile di reddito, che sfiora i 14.500 euro.

Nel Mezzogiorno, dove sono più diffuse le pensioni assistenziali rispetto a quelle da lavoro, un pensionato su cinque (24,4%) appartiene al quinto più povero della distribuzione dei redditi pensionistici e solo il 16,2% si colloca nel quinto più ricco. Sempre nel Mezzogiorno, il quinto di popolazione con redditi pensionistici più bassi percepisce meno di 7.000 euro lordi annui; nel Nord non supera i 9.300 euro. Il quinto di pensionati con redditi pensionistici più elevati percepisce al Centro e al Nord oltre 27.000 euro lordi annui, al Sud e nelle Isole oltre 24.000 euro.paese di pensionati

In aumento i pensionati che continuano a lavorare 

Nel 2019, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro sono 420.000, in aumento rispetto al 2018 (+3,6%) e in decisa diminuzione rispetto al 2011 (-18,5%). Tale aggregato è composto principalmente da uomini (in oltre tre casi su quattro), da residenti nelle regioni settentrionali (in due casi su tre) e da lavoratori non dipendenti (in circa l’85% dei casi). Circa la metà dei pensionati occupati ha al massimo la licenza media (è il 30,4% per il complesso degli occupati), tre su dieci possiedono un diploma mentre il segmento dei laureati rappresenta oltre un quinto del totale.  

Nel tempo l’età media dei pensionati che lavorano è cresciuta, per effetto dell’aumento dell’età pensionabile: oltre il 77% ha almeno 65 anni (53,7% nel 2011) e il 41,7% ne ha almeno 70 (25,0% nel 2011); proprio al segmento più anziano si deve gran parte dell’incremento osservato nel 2019. Tra il 2011 e il 2019 si sono invece più che dimezzati i 60-64enni. L’età media dei pensionati con redditi da lavoro raggiunge quindi i 69 anni (66 anni nel 2011); tra gli uomini la media è di circa un anno e mezzo più elevata rispetto alle donne e tra i lavoratori indipendenti supera di oltre tre anni quella dei dipendenti. 

Nel 2019, lavora nel settore dei servizi circa il 65% dei percettori di pensione (da lavoro) che continuano a essere occupati, al suo interno meno di un terzo è impiegato nel commercio.

Il confronto con il collettivo degli occupati nel suo complesso mostra differenze significative. I pensionati che lavorano sono più spesso impiegati in agricoltura – con un’incidenza tre volte e mezzo superiore rispetto al totale – e nel commercio (quasi una volta e mezzo superiore), risultando sovra rappresentati anche nelle attività professionali e nei servizi alle imprese. Nei settori istruzione e sanità, trasporti e nell’industria in senso stretto, al contrario, l’incidenza è sensibilmente inferiore a quella del totale degli occupati.

Circa il 44% dei pensionati che lavorano svolge una professione qualificata (compresa nei primi tre grandi gruppi della classificazione delle professioni CP2011), una quota più alta rispetto al totale degli occupati (35,3%), lo stesso si verifica per gli operai (30,9% contro 22,4%). È invece più bassa la percentuale di pensionati che lavorano in professioni non qualificate (3,3% contro 11,8%).

Considerando solo l’occupazione indipendente (l’84,4% dei lavoratori beneficiari di una pensione da lavoro), il 54,8% è rappresentato da lavoratori autonomi (in lieve aumento rispetto al 2018), il 26,8% da liberi professionisti (dal 28,3% dell’anno precedente), il 7,1% da coadiuvanti nell’azienda familiare (in lieve crescita), il 6,9% da imprenditori (anch’essi in leggero aumento). Tra l’esiguo gruppo dei dipendenti, invece, il 54,2% è operaio e circa il 29% è impiegato.

Quasi in una famiglia su due c’è un titolare di pensione

Nel 2018, si stima che quasi in una famiglia su due sia presente almeno un pensionato (oltre 12 milioni di nuclei); in particolare, nel 34% dei casi vi è un titolare di pensione e nel 12,4% due e più.

Più di un terzo dei pensionati vive in coppia senza figli (35,6%) e il 28,2% vive da solo. È invece più contenuta la percentuale di pensionati che vivono in coppia con figli (18,4%), in famiglie con singolo genitore (9,6%), oppure in altra tipologia (8,1%), cioè in famiglie di membri isolati o composte da più nuclei. Rispetto al resto del Paese, i pensionati del Nord vivono più spesso da soli (29,5%) o in coppia senza figli (39,5%) mentre i pensionati del Mezzogiorno risiedono più frequentemente in coppia con figli (23,7%). Infine i pensionati del Centro si trovano più diffusamente in famiglie di altra tipologia (9,8%).

I titolari di pensioni di vecchiaia e anzianità vivono prevalentemente in famiglie di coppie senza figli (45,4%), i percettori di pensioni di reversibilità più spesso abitano soli (62,3%) o con i figli in qualità di unico genitore (24,2%), essendo rappresentati nella stragrande maggioranza dei casi da donne vedove. 

Per queste famiglie, i trasferimenti sociali erogati ai pensionati (da qui denominati semplicemente trasferimenti pensionistici) rappresentano, in media, il 63,1% del reddito familiare netto disponibile (al netto dei fitti imputati); la quota restante è costituita per il 30,1% da redditi da lavoro e per il 6,8% da altri redditi (prevalentemente affitti e rendite finanziarie). Le pensioni di anzianità e vecchiaia, unitamente alle liquidazioni di fine rapporto per quiescenza, contribuiscono alla formazione del totale dei redditi familiari per il 43,8%, i trattamenti di reversibilità per il 9,3% e le restanti pensioni per il 10,1%. 

Per quasi 7,5 milioni di famiglie (il 62% delle famiglie con pensionati) i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile (Tavola 13 in allegato); nel 24,9% dei casi le stesse prestazioni sono l’unica fonte di reddito (oltre 3 milioni di famiglie), mentre per il 26,0% delle famiglie il loro peso non supera la metà delle entrate familiari.

Se in famiglia vi sono solo pensionati, sale all’84,5% la percentuale di famiglie con trasferimenti pensionistici il cui contributo è pari almeno ai tre quarti delle risorse economiche. 

Rischio povertà più basso tra le famiglie con pensionati 

Nel 2018, il reddito medio netto (esclusi i fitti figurativi) delle famiglie con pensionati è stimato in 32.000 euro (2.670 euro mensili) ed è, seppur di poco, superiore a quello delle famiglie senza pensionati (2.610 euro mensili). La metà delle famiglie con pensionati ha un reddito netto inferiore ai 24.780 euro (2.065 euro mensili), valore mediano che scende a 21.445 euro nel Mezzogiorno, mentre si attesta intorno a 27.800 euro nel Centro e a 25.830 euro nel Nord. 

Le famiglie con pensionati presentano un reddito mediano più basso rispetto a quello delle famiglie senza pensionati. Tale situazione, però, si inverte se si considera il reddito netto familiare equivalente, cioè includendo l’effetto delle economie di scala e rendendo comparabili i livelli di benessere tra famiglie di diversa composizione. Infatti, il valore mediano in termini equivalenti è pari a 17.800 euro per le famiglie con pensionati contro i 17.110 euro delle restanti famiglie. Il vantaggio comparativo è ulteriormente avvalorato dal fatto che il rischio di povertà delle prime (15,9%) è circa 8 punti percentuali inferiore a quello delle seconde. Ciò conferma l’importante ruolo di protezione economica che i trasferimenti pensionistici assumono in ambito familiare.

La presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari “vulnerabili” (genitori soli o famiglie in altra tipologia) riduce sensibilmente l’esposizione al rischio di povertà, rispettivamente dal 32,8% al 15,1% e dal 32,9% al 15,3%. Il cumulo di pensione e reddito da lavoro abbassa ulteriormente il rischio di povertà: 4,8% contro 18,1% delle famiglie sostenute da titolari di sole pensioni. Anche l’apporto economico dei componenti non pensionati, in particolare gli occupati, riduce il rischio di povertà pur in assenza di cumulo (8,4%). 

Tra le famiglie con pensionati, le meno esposte al rischio di disagio economico sono quelle in cui vi è almeno un pensionato che cumula redditi da lavoro propri o di altri componenti occupati (rispettivamente 3,6% e 4,8%). Le più vulnerabili sono costituite da pensionati senza redditi da lavoro che vivono assieme ad altri membri non occupati (34%). 

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