Pannelli fotovoltaici: quelli prodotti in Cina hanno alto impatto ambientale

La produzione utilizzando energia da carbone annulla ogni vantaggio, tanto che l’emissione reale si avvicina a quella della produzione di energia da gas metano con confinamento della CO2.

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pannelli fotovoltaici

Non è tutto oro che luccica attorno alle energie rinnovabili e a quella prodotta da pannelli solari fotovoltaici, specie se questi sono prodotti utilizzando massicciamente energia non rinnovabile con utilizzo del carbone.

Tutti i calcoli di impatto ambientale della produzione di energia vedono emergere i pannelli fotovoltaici per il loro ridotto apporto di anidride carbonica, calcolato su 20-40 g/kWh di CO2 contro i 400-500 del gas naturale e gli 800-1.200 del carbone. Peccato che i valori presi a riferimento per la produzione dei pannelli fotovoltaici si riferiscano ad un utilizzo di energia da fonti rinnovabili, cosa ormai rara anche perché il 90% abbondante della produzione di pannelli avviene in Cina dove la produzione di gran parte dell’energia avviene da fonte fossile e dal carbone in particolare.

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In un editoriale pubblicato su “il Sole 24 Ore”, l’esperto indipendente Enrico Mariutti riesce a sfatare la convenienza ambientale della produzione di energia da pannelli fotovoltaici, aggiornando il loro reale impatto ambientale a seconda di come vengono prodotti. Secondo Mariutti, rifacendo i calcoli sulla base di uno “scenario cinese”, le emissioni per kWh in un paese a media insolazione come l’Italia lievitano a 80-120 g/kWhdi CO2, a ridosso del limite delle tecnologie low-carbon (100 g/ kWh di CO2).

Non solo: secondo Mariutti allargando il perimetro, le emissioni di un sistema fotovoltaico prodotto in Cina e installato in Italia «arriverebbero a 170-250 g/ kWh di CO2. Sempre ampiamente al di sotto di gas e carbone, ma ampiamente al di sopra di altre opzioni di mitigazione. Solo per citarne due: l’energia nucleare (5-10 g/kWh di CO2) e il gas con carbon capture and storage”, ovvero cattura e immagazzinamento della CO2, (30-100 g/kWh)».

Così come all’esperto, anche allo Schiacciasassi sorge spontanea una domanda: se i decisori europei che hanno imboccato la strada dell’energia rinnovabile per azzerare quel misero 8% del totale di emissioni globali di cui l’Europa è responsabile fossero stati informati correttamente, avrebbero fatto le stesse scelte?

Una domanda affatto peregrina, perché anche in un altro settore strategico per la riduzione delle emissioni inquinanti come la mobilità, l’Europa ha imboccato acriticamente e senza una reale valutazione di impatto ambientale e sociale la via dell’elettrificazione spinta, anche qui vincolandosi a doppia mandata alla Cina, quando esistono già oggi alternative sviluppate in Europa che abbattono da subito e anche su gran parte del parco circolante esistente le emissioni inquinanti.

Forse è fin troppo ovvio che la classe politica europea – e anche di molti paesi europei, Italia compresaè palesemente inadeguata e impreparata al proprio ruolo e funzione, oltre ad essere troppo facilmente infinocchiabile da bravi lobbisti, magari previo aiutino con qualche mazzetta frusciante.

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