Trivelle in Adriatico: il governo Meloni le autorizza, ma il Doge del Veneto è contrario

Due commissioni tecniche hanno prodotto relazioni dalle conclusioni opposte. L’Italia cincischia mentre la Croazia già pompa a manetta un passo in là dal confine marittimo.

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trivelle in Adriatico

La riattivazione delle trivelle in Adriatico per estrarre il prezioso gas metano dai ricchi giacimenti individuati è fonte di un nuovo tira e molla dopo il blocco delle attività al largo decretato dal governo Draghi con il piano Pitesai, con il risultato che mentre l’Italia è ferma la Croazia (e anche la Slovenia nel suo piccolo) è già corsa ad attivare i pozzi e a pompare a manetta, ben sapendo che sotto la linea teorica di confine, nei giacimenti sotterranei di gas e petrolio vale la regola del chi pompa per primo pompa, e gli altri stanno a guardare. Oltre a pagare bollette energetiche per l’importazione di gas e petrolio ben più elevate di quelle offerte da una produzione nazionale.

Oggetto del contendere tra il governo nazionale – che ha promesso la fornitura a prezzo di costo decisamente più basso delle quotazioni correnti di mercato di gas metano ai cosiddetti utilizzatori energivori – la riattivazione dei giacimenti esistenti al largo del Polesine e del Delta del Po, che potrebbero dare un contributo di circa 10 miliardi di metri cubi di gas metano in 15 anni, forse anche qualcosa in più.

Uno scenario, quello della riattivazione delle trivelle in Adriatico, che ha fatto imbestialire il Doge del Veneto, il leghista Luca Zaia che si è impegnato per stoppare l’iniziativa del governo – con l’avvallo del Pd Veneto – di cui proprio il suo partito è una delle gambe portanti. Tanto da nominare una commissione regionale composta da tre docenti dell’Università di Padova, due di Ca’ Foscari, due dello Iuav e uno scienziato del Cnr che hanno bocciato la possibilità di riattivare l’estrazione di gas metano nei giacimenti già attivati dalla Croazia che, teoricamente, spetterebbero al 50% anche all’Italia.

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Una conclusione basata su un giudizio alla Ponzio Pilato: «in conclusione, si ritiene che le carenze conoscitive evidenziate non consentano, alla data, di escludere effetti significativi sull’ambiente marino e costiero del Polesine e del Delta del Po. Pertanto, le estrazioni di gas nelle concessioni minerarie “A.C14.AS” e “A.C15.AX” non devono essere autorizzate fintantoché non vengano messi a disposizione del tavolo tecnico-scientifico regionale tutti gli elementi specifici con cui poter valutare l’impatto delle estrazioni».

Tanto è bastato al Doge veneto per opporsi alla riattivazione delle trivelle in Adriatico, evidenziando tra le altre cose, che la commissione nazionale che ha dato il via libera alle trivellazioni sia costituita esclusivamente da tecnici di nomina governativa, invece che in modo paritetico da governo e regione.

Tra le motivazioni addotte per opporsi allo sfruttamento del gas metano nazionale, oltre a quelle di ridurre l’impatto ambientale in un’area di particolare pregio – facendo finta di non conoscere che le attività estrattive in altre zone dell’Adriatico hanno semmai migliorato l’equilibrio naturale e la ricchezza della biodiversità, complice anche il divieto di pesca nelle aree limitrofe agli impianti -, c’è il rischio di subsidenza, già vissuto decenni addietro sull’onda della crescita tumultuosa degli anni Cinquanta e Sessanta, dove nell’area del Polesine e del Delta del Po arrivarono ad essere operativi fino a 1.424 pozzi nel 1959, con un picco di produzione di 300 milioni di metri cubi all’anno di gas metano. Una produzione intensiva che innescò fenomeni di abbassamento del terreno, tanto che nel 1957 ne furonoregistrati fino a 30 centimetri, tanto che alcune zone costiere finirono invase dall’acqua, come la stessa isola di Batteria che finì sott’acqua a due metri di profondità.

Un fenomeno che portò nel 1961 alla sospensione dell’estrazione in tutto il territorio compreso tra Adria e il mare, mentre nel Ferrarese proseguì fino al 1965.

Chi oggi si mette contro lo sfruttamento del gas metano nazionale basandosi su fatti occorsi nel passato non considerache le tecniche di estrazione sono state grandemente modificate ed evolute, tanto che all’estrazione oggi si accompagna il pompaggio di gas inerti o di acqua anche al fine di mantenere alta la pressione di esercizio, oltre che per equilibrare la struttura del giacimento.

Quel che è peggio è che oggi si sorvola sul fatto che, mentre in Italia si discute e si litiga tra i vari poteri, il paese rinuncia a sfruttare un bene che gli appartiene al 50%, con il rischio che in caso di perdurante immobilismo il gasvenga prelevato da altri che poi potrebbero pure rivenderlo all’Italia non a prezzo di costo, ma di mercato, mandando in malora buona parte dell’economia nazionale, compresa quella veneta del Doge.

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