Il conto della crisi economica da Covid-19 è di 5.420 euro a testa

Il conteggio della Fondazione nazionale commercialisti. La Cgia fa l’elenco delle attività più colpite dalla crisi e stima in 2 milioni gli addetti a rischio con lo sblocco dei licenziamenti.

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conto della crisi

Nel 2020 il conto della crisi economica da Covid-19 è costata all’italiano medio 5.420 euro a testa, di cui 2.371 euro di minore Pil pro capite e i restanti 3.049 euro di incremento di debito: il dato emerge dallo studioIl debito pubblico italiano e il Covid–19” realizzato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti che ha misurato l’impatto dell’emergenza sull’economia italiana mettendola a confronto con quella dei paesi del G20.

Nell’analisi condotta a partire dai più recenti dati del Fondo Monetario Internazionale, emerge come il crollo del PIL reale per l’Italia per l’anno appena concluso al -8,9% secondo gli ultimi dati Istat sia il peggiore calo dopo l’Argentina (-10,4%) e il Regno Unito (-10%) mentre, a causa di un rimbalzo troppo corto nel 2021, l’Italia presenterebbe il calo del Pil maggiore nel biennio 20202021 (-6,5%).

Nel 2020, la spesa pubblica aggiuntiva e gli sgravi fiscali per far fronte alla pandemia hanno raggiunto il 6,8% del Pil collocando l’Italia al IX posto nel G20. In termini pro-capite, cioè in media per ogni italiano, il sostegno statale è stato pari a 1.858 euro, molto meno che in Germania (4.414), in Francia (2.677), negli Stati Uniti (9.311) o nel Regno Unito (5.752).

Considerando che nel 2020 la perdita media per ogni italiano del Pil è pari a 2.371 euro, il sostegno statale di 1.858 euro non è stato sufficiente a coprirla generando una perdita di 513 euro pro-capite, mentre per la Francia il risultato è stato di -120 euro e per la Germania c’è stato addirittura un guadagno di +1.841 euro.

Per quanto riguarda il debito pubblico italiano, nel 2020 in termini pro-capite aumenta di 3.049 euro. Nel 2021 aumenterà di altri 2.372 euro a testa: nel biennio cresce in totale di 5.421 euro. Per effetto della pandemia, il debito pubblico italiano a livello pro-capite e cioè per ogni italiano in media passa da 39.864 euro del 2019 a 42.913 euro del 2020. Nel G20 si colloca al terzo posto insieme al Canada e dopo Stati Uniti e Giappone e nel 2021 arriva a 45.285 euro.

La Cgia di Mestre stila una classifica dei settori economici più colpiti dalla crisi basandosi sulle stime dell’andamento medio del fatturato 2020, dove emergono il commercio, i servizi alla persona e l’area dell’intrattenimento. 

I risultati a cui è giunto l’Ufficio studi della Cgia sono impietosi:

agenzie di viaggio e tour operator -73,2%;

attività artistiche, palestre, piscine, sale giochi, cinema e teatri -70%;

alberghi e alloggi -53%;

bar/ristoranti -34,7%;

noleggio e leasing operativo -30,3%;

commercio/riparazione di autoveicoli e motoveicoli -19,9%.

In termini assoluti, la perdita di fatturato più importante ha interessato il commercio all’ingrosso (-44,3 miliardi di euro). Seguono il commercio/riparazione auto e moto (-26,8 miliardi) i bar e i ristoranti (-21,3 miliardi di euro), le attività artistiche, palestre, sale giochi, cinema e teatri (-18,3 miliardi), il commercio al dettaglio (-18,2 miliardi), gli alberghi (-13,9 miliardi), le agenzie di viaggio e i tour operator (-9,3 miliardi). 

Secondo una recente indagine realizzata dall’Istat, sono 292.000 le aziende che si trovano in una situazione di seria difficoltà. Attività che danno lavoro a 1,9 milioni di addetti e producono un valore aggiunto che sfiora i 63 miliardi di euro. Il numero medio di addetti per impresa di questa platea di aziende così a rischio chiusura è pari a 6,5. Stiamo parlando di micro attività che, pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria, non hanno adottato alcuna strategia di risposta alla crisi e, conseguentemente, corrono il pericolo di abbassare definitivamente la saracinesca. I settori produttivi più interessati da queste 292.000 attività sono il tessile, l’abbigliamento, la stampa, i mobili e l’edilizia. Nel settore dei servizi, invece, si distinguono le difficoltà della ristorazione, degli alloggi/alberghi, del commercio dell’auto e altri comparti come il commercio al dettaglio, il noleggio, i viaggi, il gioco e lo sport. E’ evidente che non tutti questi operatori economici chiuderanno definitivamente i battenti, tuttavia con lo sblocco dei licenziamenti previsto entro la fine del prossimo mese di marzo, molti degli addetti di queste attività rischiano di trovarsi senza un’occupazione regolare.   

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