Google, la Commissione Ue avvia procedura antitrust sulla pubblicità digitale

Violate le regole in tema di concorrenza e di abuso di posizione dominante sul mercato europeo. Nel 2022 il colosso americano dalla pubblicità ha incassato 225 miliardi.

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Margarete Vestager commissario concorrenza Commissione europea.

La Commissione europea apre formalmente una procedura d’infrazione contro Google per violazione delle norme antitrust dell’Ue nel settore delle tecnologie pubblicitarie (adtech). Dopo una indagine durata due anni, la Commissione ha ritenuto che Google favorisca i propri servizi di tecnologia pubblicitaria digitale a scapito dei fornitori concorrenti di servizi di tecnologia pubblicitaria, degli inserzionisti e degli editori online.

Google fornisce diversi servizi di tecnologia pubblicitaria che fungono da intermediari in tutta la catena pubblicitaria per siti web o applicazioni mobili. Gestisce due strumenti per l’acquisto di annunci (Google Ads e DV 360); un server pubblicitario per gli editori (DoubleClick For Publishers o DFP) e uno strumento diintermediazione di annunci (ad exchange) dove editori e inserzionisti si incontrano in tempo reale per acquistare e vendere inserzioni pubblicitarie (AdX).

«Non c’è nulla di male nell’essere dominanti in quanto tali. Ciò che la nostra indagine ha dimostrato, tuttavia, è che Google sembra aver abusato della sua posizione di mercato. Lo ha fatto assicurandosi che entrambi i suoi strumenti di intermediazione, sia dal lato dell’acquisto che da quello della vendita, favorissero AdX nelle aste di matching – ha spiegato la vice presidente della Commissione Ue e responsabile della concorrenza, Margrethe Vestager -. In altre parole, siamo preoccupati per due comportamenti potenzialmente anticoncorrenziali di Google, entrambi volti a favorire AdX».

La prima mirava a garantire che i suoi strumenti dominanti sul lato acquisti, Google Ads e DV 360, favorissero AdX rispetto agli ad exchange rivali. Il secondo mirava a garantire che il suo server pubblicitario dominante DFP favorisse AdX rispetto agli ad exchange rivali.

«L’obiettivo generale era quello di mantenere un ruolo centrale per AdX nella catena di fornitura dell’adtech. Ciò ha consentito a Google di applicare una tariffa elevata per i suoi servizi di scambio» ha sostenuto Vestager.

La Commissione ritiene in via preliminare che, in questo caso specifico, un rimedio comportamentale sia probabilmente inefficace per prevenire il rischio che Google continui a tenere tali comportamenti di auto-preferenziazione o ne intraprenda di nuovi. «Google – evidenzia Bruxelles – opera su entrambi i lati del mercatocon il suo publisher ad server e con i suoi strumenti di acquisto di annunci e detiene una posizione dominante su entrambi i fronti. Inoltre, gestisce il più grande scambio di annunci. Ciò comporta una situazione di conflitto di interessi intrinseco per Google».

L’opinione preliminare della Commissione è quindi che solo la cessione obbligatoria da parte di Google di una parte dei suoi servizi potrebbe risolvere le sue preoccupazioni in materia di concorrenza. Vestagar ha ringraziato le autorità antitrust nazionali di Danimarca, Portogallo e Italia per la collaborazione nelle indagini: «hanno trasferito le loro indagini alla Commissione per consentire a tutta l’Europa di beneficiare del loro lavoro. Questo dimostra la potenza della Rete europea della concorrenza».

La Commissione europea ha informato Google del suo parere preliminare secondo cui l’azienda ha violato le norme antitrust dell’Ue, distorcendo la concorrenza nel settore delle tecnologie pubblicitarie (adtech).

«Se la Commissione, dopo che l’azienda ha esercitato i suoi diritti di difesa, conclude che esistono prove sufficienti di una violazione, può adottare una decisione che vieta il comportamento e impone un’ammenda finoal 10% del fatturato mondiale annuo dell’azienda» avvisa la Commissione.

Secondo Bloomberg, nel 2022 la pubblicità di Google ha generato circa 225 miliardi di dollari per l’azienda, pari all’80% del suo fatturato annuo. In caso di accertata colpevolezza, per Google sarebbe la quarta condanna europea, considerando le tre multe già irrogate tra il 2017 e il 2019 per un totale di oltre 8 miliardi di euro.

Da parte sua, Google ha reagito all’avvio di una procedura dell’autorità Antitrust dell’Unione europea, affermando di «non condividere il punto di vista della Commissione Europea» e preannunciando risposte alla decisione di Bruxelles. «I nostri strumenti di tecnologia pubblicitaria aiutano i siti web e le app a finanziare i propri contenuti e consentono alle aziende di tutte le dimensioni di raggiungere in modo efficace nuovi clienti – rivendica con una nota Dan Taylor, vicepresidente Global Ads di Google -. Ci impegniamo a creare valore per i nostri partner in un settore altamente competitivo come questo, che si tratti di inserzionisti oppure dei publisher che ospitano pubblicità sui propri siti e app». E riguardo alla comunicazione di addebiti, annunciata oggi dall’esecutivo comunitario sui sistemi di pubblicità online, “l’indagine – afferma Taylor – si concentra su un aspetto ristretto della nostra attività pubblicitaria, e non si tratta di una novità. Non condividiamo il punto di vista della Commissione Europea e risponderemo di conseguenza».

Fatto sta che realtà come Google e altri protagonisti del mondo digitale e dei canali social approfittano a mani basse della loro posizione dominante sui vari mercati di riferimento, incassando palanche a carrettate e lasciando agli editori che producono materialmente i contenuti su cui le WebTech lucrano solo le briciole.

Più che arrivare ad uno spezzatino in più rami tra loro in concorrenza delle società d’origine, forse meglio e più rapido sarebbe imporre per legge una compartecipazione obbligatoria di chi produce i contenuti agli utili delle WebTech, ad esempio almeno un 30%, tale da assicurare la redditività a tutti i soggetti del comparto, anche a tutela del pluralismo e della democraticità e dell’autorevolezza dell’informazione.

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