Qualità dell’informazione: secondo il 76,5% dei lettori è difficile individuare le bufale

Rapporto Ital Communications Censis. Il sistema della notizia nazionale sempre più a rischio disinformazione.

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Gran parte degli italiani si informa regolarmente, ma aumentano paure e timori di non essere in grado di riconoscere disinformazione e bufale, evidenziando un generale problema di qualità dell’informazione.

Il 76,5% degli italiani ritiene che le notizie false siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. Ma c’è anche un 29,7% che nega l’esistenza delle bufale e pensa non si debba parlare di bufale, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti che poi le fanno passare come false.

I risultati del terzo Rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale” presentato a Palazzo Giustiniani del Senato traccia un quadro con molte ombre. «Chi fa informazione si scontra con le fake news e il buco nero della cultura orale, quell’insieme consolidato e irrazionale di convinzioni e elementi senza basi che le persone si passano tra loro. Contro queste non si possono che rafforzare i presidi autorevoli dell’informazione», commenta Giuseppe De Rita, presidente del Censis.

Tra i negazionisti delle notizie bufala – aggiunge Anna Italia, ricercatrice del Censis, presentando i dati – ci sono in particolare i più anziani e, chi ha un basso livello di scolarizzazione. Comunque l’89,5% degli italiani pensa che sia necessario creare un’alleanza stabile tra tutti i portatori di interesse pubblico che hanno interesse alla qualità dell’informazione.

Gli italiani che si mantengono informati sono la stragrande maggioranza: circa 47 milioni di italiani, il 93,3% del totale, si informa abitualmente (con una frequenza come minimo settimanale) almeno su una delle fonti disponibili: l’83,5% usa anche il web e il 74,1% i media tradizionali. Il 64,3% utilizza un mix di fonti informative, tradizionali e online, il 9,9% si affida solo ai media tradizionali e il 19,2% (circa 10 milioni di italiani in valore assoluto) alle fonti online.

Social media, blog, forum, messaggistica istantanea sono espansioni del nostro io e del modo di vedere il mondo: è il fenomeno delle “echo chambers”, cui sono esposti tutti quelli che frequentano il web e soprattutto i più giovani, tra i quali il 69,1% utilizza la messaggistica istantanea e il 76,6% i social media per informarsi. Il 56,7% degli italiani è convinto che sia legittimo rivolgersi alle fonti informali di cui ci si fida di più. Sul versante opposto, sono circa 3,3 milioni (il 6,7% del totale) gli individui che hanno rinunciato ad avere un’informazione puntuale su ciò che accade, mentre 700.000 italiani non si informano affatto.

Su temi di stretta attualità come il riscaldamento globale, la massiccia informazione sembra aver alimentato una certa confusione: il 34,7% degli italiani è convinto che ci sia un allarmismo eccessivo sull’argomento e il 25,5% ritiene che l’alluvione di quest’anno in Emilia Romagna sia la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione. I negazionisti convinti che il cambiamento climatico non esista, sono il 16,2% della popolazione.

Crea incognite l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’informazione: il 75,1% della popolazione ritiene che con l’upgrading tecnologico verso l’Ai sarà sempre più difficile controllare la qualità delle notizie, mentre per il 58,9% l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento a supporto dei professionisti della comunicazione.

«L’intelligenza artificiale è già classificata in ambito europeo ad alto rischio per l’informazione. Serve un filtro che permetta di riconoscere immediatamente un contenuto creato dall’uomo rispetto a quelli dell’intelligenza artificiale – dice Alberto Barachini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria -. Tuttavia non basta un’etichettatura se non si struttura la capacità collettiva di allontanare il contenuto rischioso, attraverso nuovi strumenti di garanzia di una corretta informazione dei quali devono dotarsi i media».

Ma il sottosegretario Barachini dovrebbe aggiornare i sistemi di sostegno all’informazione di qualità, che oggi subisce un profondo cambiamento e per la crisi generalizzata del comparto, punta sempre più sul campo digitale, specie per le nuove iniziative che, spesso, hanno difficoltà a finanziarsi adeguatamente.

Di qui la necessità di garantire a chi produce informazione digitale una quota adeguata degli utili generati dai grandi gestori dei canali digitali che drenano quasi interamente gli investimenti pubblicitari di settore anche per contribuire, oltre alla copertura delle spese di produzione delle notizie, anche al loro controllo e qualità dell’informazione, mentre a livello nazionale, una quota fissa delle spese per comunicazione degli enti pubblici e delle aziende con azionariato pubblico dovrebbe essere tassativamente veicolato anche sugli editori indipendenti minori per garantirne la sopravvivenza e per garantire il diritto costituzionale al pluralismo dell’informazione. Il tutto a costo zero per lo Stato.

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