L’informazione in Italia secondo l’analisi dell’AgCom

La situazione dei giornalisti è sempre più critica tra redditi in calo e crollo delle copie stampate dei giornali. Serve la riforma della legge di settore, ormai vecchia di 60 anni.

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La realtà dell’informazione in Italia è sempre più critica, tra redditi dei giornalisti in calo, crollo delle copie di giornali vendute in edicola e disaffezione generalizzata dei cittadini verso l’informazione, spesso ritenuta non adeguata o eccessivamente schierata.

Secondo la periodica rilevazione dell’Osservatorio sul giornalismo dell’AgCom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), il numero dei giornalisti italiani ha raggiunto quota 101.909, mentre sono 9.367 i professionisti che svolgono attività di ufficio stampa e 10.371 i comunicatori.

L’Ordine dei giornalisti, l’albo professionale della categoria che è anche la fonte di riferimento per i dati ufficiali sui giornalisti italiani, segnala circa 30.000 iscritti con la qualifica di giornalisti professionisti (coloro i quali esercitano l’attività giornalistica come principale attività professionale) e altri 75.000 pubblicisti (collaboratori di testate giornalistiche che svolgono anche altre attività, come per esempio quella di ufficio stampa o nella scuola).

L’Osservatorio AgCom, depurando i dati dai giornalisti che non esercitano la professione e pensionati, stima siano circa 36.000 i giornalisti effettivamente attivi (dati 2018), pari a 5,6 giornalisti ogni 10.000 abitanti. Una media simile a quella della Francia (5,2 ogni 10.000 abitanti), molto inferiore alla Gran Bretagna (9,6), ma maggiore rispetto agli Stati Uniti (2,8).

Le testate giornalistiche ufficialmente registrate in Italia sono invece 3.207, con 94 agenzie di stampa, 96 quotidiani e 713 testate radiotelevisive specializzate e tecniche. Le aziende di comunicazione e ufficio stampa sono 5.623 in tutta Italia.

L’Osservatorio dell’AgCom rileva che il 70% dei giornalisti italiani è laureato, che vi è una larga conoscenza delle lingue straniere, con prevalenza dell’inglese, noto a vari livelli al 99% dei professionisti, anche se soltanto il 50% ha una conoscenza di livello B2 o superiore. Le competenze digitali sono medie o medio alte nel 54,4% dei giornalisti.

L’approfondimento condotto dall’Osservatorio AgCom ha quantificato anche la dimensione media delle redazioni nei diversi mezzi di informazione: si passa dai 53 addetti dei quotidiani (di cui 16 giornalisti strutturati, 35 collaboratori esterni e 2 altre figure professionali) ai 21 della Tv, fino ad arrivare ai 9 della radio. Tuttavia, all’interno del singolo tipo di testata, esiste una marcata differenza tra redazioni di testate nazionali e locali.

Con l’avvento del digitale e la crisi dei giornali sono sempre di più i giornalisti che s’inventano editori di se stessi con testate web o blog, contribuendo spesso a quel pluralismo d’informazione costituzionalmente garantito, ma trascurato dal Dipartimento dell’editoria che ne limita l’accesso alle provvidenze economiche, favorendo ancora le grandi testate con dipendenti o cooperative rispetto alle imprese individuali.

Rimane lo scoglio dell’aggiornamento della legge di settore, la n. 69 del 1963, che dimostra tutti i propri limiti dopo 60 anni. Sarebbe utile passare da una forma ordinistica ad una norma, una sorta di statuto che sancisca diritti e doveri di chi esercita l’attività di giornalista, superando le odierne modalità di accesso alla professione, lasciando agli editori la responsabilità di selezionare il personale maggiormente adatto a svolgere l’attività, superando così anche gli attuali contrasti con il dettato costituzionale.

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