La Cida denuncia l’esproprio sulle pensioni maggiori di 2.000 euro netti al mese

1,8 milioni di pensionati a rischio di perdere fino a 115.000 euro in 10 anni.

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cida questione del lavoro autonomo sottopagato

Il nuovo schema di rivalutazione premia i beneficiari di trattamenti al minimo, fino a circa 1.500 euro netti al mese, mentre colpisce ancora una volta il ceto medio e i percettori di pensioni di importo più elevato: circa 1,8 milioni di pensionati che, dopo aver versato tasse e contributi, rischiano di perdere dai 13.000 ai 115.000 euro in 10 anni per effetto della mancata indicizzazione,denuncia la Cida, la Confederazione dei dirigenti d’azienda.

Lungi dal valorizzare il meritoessì che hanno istituito anche un ministero al merito -, anche il nuovo governo Meloni sceglie di trovare risorse attingendo, in modo iniquo, alle rendite previdenziali di importo medio e medio-alto afferma la Cida.

«Oggi – spiega Cidapiù di 50.000 pensionati aderenti a tutte le Federazioni, la rappresentanza della dirigenza e le alte professionalità di tutti i settori socio produttivi, pubblici e privati, hanno dato vitaad una mobilitazione online per direNO” ad una manovra iniqua, che continua a pesare su chi ha già dato molto e vuole che si ristabilisca un rapporto di fiducia e rispetto con lo Stato».

«Le modifiche apportate al sistema di rivalutazione danneggiano ulteriormente chi oggi ha una pensione che è il frutto di anni di lavoro e contribuzione. Non è la prima volta che accade ma ora, in un contesto di inflazione a due cifre, che invece non fa distinzioni, le penalizzazioni sui pensionati non sono più sostenibili – ha affermato Stefano Cuzzilla, presidente Cida -. Il punto non è negare il sostegno a chi ha meno, ma fare chiarezza sui conti. Finché non separeremo la previdenzadall’assistenza, finché non arresteremo il drenaggio di risorse dalla spesa previdenziale a quella assistenziale, finché non chiariremo come mai in questo Paese ci sono oltre 6 milioni di pensionaticon assegni fino a 2 volte il minimo, qualsiasi intervento sul sistema pensionistico sarà discriminatorio e iniquo verso chi quel sistema lo ha sempre sostenuto e, mi viene da dire, è tra i pochi che continua a farlo».

Il nuovo schema di rivalutazione degli assegni previsto dalla legge di stabilità 2023 si quantificherà per i pensionati con trattamenti sopra i 2.500 euro lordi (meno di 2.000 euro il netto) in una perditain 10 anni dai 13.000 euro in su; valore destinato a salire progressivamente fino ai 115.000 per i percettori di assegni oltre i 10.000 euro lordi (6.000 circa il netto).

Un provvedimento – spiega la Cida – che tende a penalizzare proprio quanti hanno versato più tasse e contributi, sostenendo attivamente la tenuta del welfare italiano, e non esente da possibili profili di incostituzionalità con particolare riferimento alle quote di pensione calcolate con metodo contributivo, il quale prevedrebbe la rivalutazione piena degli assegni.

La fotografia scattata dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, con il sostegno di CIDA, analizza la storia dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione concentrandosi in particolare sul meccanismo introdotto dal governo, è stata presentata in anteprima questa mattina durante la mobilitazione. La pubblicazione sarà disponibile per la consultazione a partire dalla prossima settimana sul sito Itinerari Previdenziali.

«Con l’occasione della manovra finanziaria il neonato governo è intervenuto sul biennio 2023-2024, prevedendo un meccanismo che rivaluta le pensioni sociali, gli assegni sociali e le pensioni al minimo addirittura del 120% dell’inflazione prevista e peggiora tremendamente tutte quelle oltre 5 volte il trattamento minimo – commenta Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali -. Da ormai troppi anni, oltre un ventennio, stiamo assistendo a una deformazione del sistema previdenziale italiano che, progressivamente, trasferisce risorse dalle pensioni all’assistenza, con il risultato di penalizzare quella fascia di pensionati che, nel corso della propria lunga vita attiva, hanno dichiarato redditi pari o superiori a 35.000 euro e versato contributie imposte pari a oltre il 60% dell’IRPEF totale, oltre ai contributi sociali e alle imposte dirette. Tasseche i 6 milioni di beneficiari di pensioni fino a 2 volte il minimo sostanzialmente non pagano e che i percettori di prestazioni tra 2 e 4 volte il trattamento minimo pagano in misura ridotta».

Insomma, se il governo Meloni vuole valorizzare il merito non solo a parole, dovrebbe evitare di penalizzare coloro che hanno fatto il loro dovere sia con il fisco che con i contributi previdenziali, evitando di tutelare eccessivamente coloro che non hanno mai adempiuto ai loro obblighi di cittadini e di onesti contribuenti. E partiti come Forza Italia e Lega Salvini premier dovrebbero evitare di continuare a regalare pensioni anticipate o aumenti senza la parallela presenza di adeguati contributi. Il Paese non si può più permettere di pagare il voto di scambio dei leader di partito in affannosa cerca di consenso.

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