La viticoltura veneta a Bruxelles per la liberalizzazione e i diritti d’impianto

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Manzato A Venezia il Forum Nazionale degli Spumanti dItalia 031 1Manzato: “valorizzare le filiere produttive, no alla liberalizzazione assoluta”

“Modifichiamo pure l’attuale sistema di gestione dei vigneti aprendolo alle filiere, ma non consegnamolo nelle mani di una liberalizzazione assoluta che potrebbe provocare il tracollo del sistema, facendo perdere all’Europa le posizioni di mercato da primato che ha mantenuto e conquistato in questi anni”. Lo ha detto a Bruxelles Franco Manzato, assessore all’agricoltura del Veneto, prima regione produttrice d’Italia, d’Europa e del mondo con oltre 8 milioni di ettolitri e un export equivalente a circa il 65% della capacità produttiva, per un valore di quasi 1,332 miliardi di euro (dati 2011), equivalente a più del 30% dell’intero export italiano per quantità e valore nel settore vino. Questa la posizione presentata in sede comunitaria da Manzato, portavoce in Europa del Veneto e del Piemonte all’incontro organizzato nella sede della rappresentanza bavarese dai 15 paesi aderenti all’AREV (Assemblée des Régions Européennes Viticoles – Regioni Europee Viticole) sul tema “L’Europa dei territori viticoli dice no alla liberalizzazione dei diritti di impianto”.

Per il sistema enologico veneto, la fine dell’attuale regime di controllo del mercato basato sui cosiddetti diritti d’impianto non può essere una gestione incontrollata del settore, ma quantomeno una gestione transitoria in mano alle organizzazioni dei produttori, che permetta di consolidare e magari accrescere i risultati finora raggiunti, senza compromettere il paesaggio e il territorio che la viticoltura ha costruito. “Questo non significa dirigismo dell’economia – ha sottolineato Manzato – ma un sistema dinamico, attento all’evoluzione del mercato, gestito assieme al sistema produttivo, per evitare fenomeni speculativi e fughe in avanti che impoverirebbero tutti, ottenendo l’esatto contrario dell’obiettivo che a parole si vuole raggiungere: quello di una maggiore redditività delle aziende”.

“I diritti d’impianto, che costituiscono ancora la chiave di volta del modello viticolo europeo, hanno consentito di sviluppare attività economiche importanti e diversificate valorizzando al meglio i territori e le produzioni vocate – ha detto ancora Manzato – laddove non ci sono di fatto alternative colturali se non l’abbandono. In più non hanno alcuna incidenza sul budget comunitario, contrariamente alle costose misure di estirpazione massiccia intraprese tra il 2008 e il 2011. Chiediamo alla Commissione di ascoltare la rivendicazione portata avanti dalla quasi totalità dei territori produttori e di presentare rapidamente una nuova proposta di inquadramento del potenziale di produzione, emendando in questo senso la proposta di regolamento ‘OCM Unico’”.

I diritti d’impianto sono lo strumento della politica comunitaria, vigente fino al 2015, attivato per mantenere in equilibrio domanda e offerta di vino europea, in un mercato mondiale e interno dove la produzione risultava eccessiva rispetto al consumo, con le conseguenti crisi per le aziende produttrici.

Il mercato europeo del vino ha conosciuto più modalità di intervento, a mano a mano che calava il consumo comunitario e mondiale rispetto alla quantità di produzione. In origine vennero dati incentivi all’espianto, poi si passò attraverso un sistema di distillazione obbligatoria per tutti i produttori in rapporto alla minore percentuale di vendita (sistema che però puniva i vini con più mercato a scapito di quelli che di mercato ne avevano poco o nulla), infine si arrivò a fissare la superficie complessiva dei vigneti da vino per ciascun paese produttore, secondo un sistema analogo a quello delle quote latte.

In sostanza, i vigneti non potevano essere piantati liberamente, ma ogni nuovo vigneto doveva sostituirne uno di eguale superficie. Il viticoltore doveva insomma possedere il diritto all’impianto, o perché già era di sua proprietà o acquistandolo da altro produttore che espiantava una superficie equivalente. Questo non solo ha permesso di calmierare la produzione complessiva, ma anche migliorare la qualità sviluppando nei territori più vocati i vini migliori e con maggior successo di vendita, a scapito di quelli meno richiesti dai consumatori.

Questo sistema viene considerato dirigistico e non in linea con la libertà d’impresa e dovrebbe cessare dal 2015. L’effetto potrebbe però essere schizofrenico, con impianti di vigneti ovunque e senza regole, dove l’obiettivo della redditualità passerebbe dai vini di qualità alla quantità a più basso prezzo. Il tutto in un sistema nel quale i vini di qualità, che seguono regole precise, sono invece meglio in grado di aumentare il valore e l’apprezzamento dei vini europei, italiani e veneti nel mondo, con maggior reddito per i produttori. A decidere su questa materia in nome di una liberalizzazione totale, peraltro, sarebbero sostanzialmente i paesi europei non produttori, quelli per intenderci dove vengono venduti vini illegali in kit da piccolo chimico, da produrre in casa utilizzando mosto inerte, acqua e bustine di preparati aggiuntivi