La seconda parte di Jazz Groove al Candiani e al Toniolo

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jazz-groove-2013-ilnordest
jazz-groove-2013-ilnordestBuon successo di critica per l’iniziativa musicale organizzata dal Circolo culturale Caligola
di Giovanni Greto

Amata e stimata dai musicisti brasiliani, molti dei quali da tempo risiedono in Veneto, Joyce ha tenuto un ottimo recital al Candiani di Mestre, aprendo la seconda parte di ‘Jazz Groove’, rassegna ideata come sempre dal circolo culturale Caligola.

Auditorium colmo e pubblico che sin dai primi accordi inizia ad entrare nel morbido, ritmico e fortemente jazzistico balançado della cantautrice carioca, assistita da un affiatato trio: Helio Alves, al pianoforte, Rodolfo Stroeter al basso elettrico, il marito, Tutty Moreno, alla batteria. Soprattutto quest’ultimo, non molto conosciuto alle grandi platee, ha impressionato per il bagaglio tecnico e per il fraseggio, spezzettato, pieno di accentazioni, ricco di breaks e di assolo, mai debordanti, ma finalizzati alla natura del brano in questione. Inoltre, la capacità di padroneggiare in maniera impeccabile le dinamiche sonore, passando da un concitato fortissimo ad un morbido pianissimo, ha evidenziato una sapiente concentrazione. Il titolo scelto per il tour ha ripreso una delle canzoni più famose della cantante, incisa per la prima volta nell’omonimo album del 1980. E’ piaciuta la trovata di licenziare ad uno ad uno i musicisti, per rimanere sola in ‘Adeus America’. Come spesso succede, il breve intermezzo solistico seguente, ha destato immensa emozione e gioia, anche per la scelta dei brani, ‘Desde que o samba è samba’ di Caetano Veloso, ‘Aguas de Março’ di Tom Jobim, interpretati come devono essere interpretati, anche se, come per tutti i grandi artisti, la prossima volta saranno eseguiti in maniera diversa, sicuramente altrettanto entusiasmante. Al ritorno del quartetto non può mancare ‘Desafinado’, forse per rendere omaggio a Joao Gilberto, mentre spetta a ‘Feminina’il compito di concludere il set. Ma si può congedarsi senza concedere nemmeno un bis? Ed ecco il quartetto, applaudito con affetto, ritornare in pedana per proporre ‘O morro’, un altro pezzo della grande tradizione della Musica Popolare Brasiliana.

Ci si addentra in un’atmosfera cameristica, percorsa dallo swing, nell’ascoltare un inedito duo, formato dal 43enne chitarrista piemontese Maurizio Brunod e dal veterano contrabbassista ceco-americano Miroslav Vitous. Conosciutisi grazie all’EuroJazz Festival di Ivrea, i due in seguito hanno spesso suonato insieme, finchè, grazie a Caligola Records, c’è stata la recente incisione di ‘Duets’, un CD firmato Brunod, che duetta con artisti italiani e, appunto Vitous. Il programma della serata mestrina ha alternato composizioni originali di Brunod ad alcuni standard, lasciando spazio, vista l’esiguità dell’organico, a parecchie, lunghe improvvisazioni, tra le quali spiccavano quelle, assai nasali, di Vitous con l’archetto. Il concerto non è però riuscito a prendere il volo, nonostante la buona tecnica di entrambi. Sono mancate le emozioni, presenti nel concerto precedente, anche se l’atmosfera creatasi è apparsa apprezzabile.

La serata più lunga di tutte è stata quella del 3 maggio, che ha presentato quasi un doppio concerto. Nella prima parte hanno duettato il chitarrista Michele Calgaro e il trombettista e flicornista russo Alex Sipiagin, membro della Mingus Big Band, stabilitosi nel 1992 negli Stati Uniti. Brani molto dilatati, con improvvisazioni intersecantesi, mutamenti ritmici e timbrici, hanno preparato l’ingresso del ‘Claudio Fasoli Four’, formato dal leader al sax tenore e soprano, dai fratelli Calgaro, Michele alle chitarre e Lorenzo al contrabbasso,e da Gianni Bertoncini alla batteria e all’elettronica. Anche in questo caso il concerto è stata l’occasione per presentare l’ultimo CD del leader, ‘Patchwork’(Caligola Records), sempre felice di ritornare nella terra natale (è nato al Lido di Venezia), e dell’attenzione dimostratagli dal pubblico. Brani swinganti, talvolta modali, talaltra boppistici, con qualche episodio ‘ambient’, in virtù anche dell’elettronica, sono proseguiti fino al gran finale, che ha richiamato Sipiagin per una gustosa Jam Session, trasformando il Candiani in un ‘afterhours’.

Intenso e pieno di vitalità, il set drumless di Uri Caine al pianoforte, Furio Di Castri al contrabbasso e Franco Ambrosetti al flicorno. Attraverso una narrazione spesso arricchita da spiegazioni tecniche, quest’ultimo, motivando il titolo scelto per il concerto, ha dimostrato come Bach sia stato uno tra gli improvvisatori più celebri della musica barocca, che ha influenzato tutti i secoli successivi. E dalle ‘Variazioni Goldberg’, già incise da Caine, è iniziato un viaggio nella storia della musica, che ha toccato Giuseppe Verdi, riproponendo pezzi dall’Otello Syndrome’, dello stesso Caine, un’opera eseguita per la prima volta parecchi anni fa in una memorabile edizione della Biennale Musica di Venezia, e che deve piacergli particolarmente, perché la ripropone ogni qual volta il repertorio della serata lo consente. Chiaro e limpido il fraseggio di Ambrosetti, classe 1941, di cui Miles Davis disse che “è l’unico trombettista bianco ad avere un suono nero”. Verso la fine i tre hanno reso omaggio a Coltrane, eseguendo ‘Mr.P.C.’, dove le lettere maiuscole stanno ad indicare il contrabbassista Paul Chambers , scomparso prematuramente e a Davis, eseguendo in maniera impeccabile la magnifica ‘Seven steps to heaven’, senza far rimpiangere l’assenza della batteria. Un felice interplay, cui si è aggiunta una equa distribuzione solistica, ha dimostrato come non si possa parlare piu di jazz americano o di jazz europeo, ma di una musica internazionale, bella da ascoltare se gli interpreti, da qualunque paese provengano, sono di qualità.

Non è facile rendere omaggio ad un musicista di carattere che non c’è più, ma che ha lasciato un segno personale nella storia della musica Jazz. Con rispetto e, forse, fiducioso, visto il successo ottenuto con la rilettura di canzoni di Michael Jackson, testimoniato dal CD ECM ‘Rava on the dance floor’, mentre sta proseguendo ancora il progetto dal vivo, Enrico Rava ha voluto celebrare, al teatro Toniolo, il cofondatore del leggendario, unico, gruppo AEOC, ‘Art Ensemble of Chicago’, assecondato ancora una volta dal PMJL, ‘Parco della Musica Jazz Lab’, in particolare dalla figura di Marco Ottolini, trombonista e valente arrangiatore, in grado di dare equilibrio ad una musica non facile da rendere – Bowie aveva esplorato a fondo la ‘Great Black Music’, dal Blues al Soul, dal Funky al Reggae, al Free – se si è alla ricerca della più vicina somiglianza sonora. Il PMJL ha invece preferito riproporre l’Idea della musica di Bowie, il suo gusto per l’improvvisazione e per una ricerca senza limiti. Il concerto di Mestre, dopo un inizio un po’ timido, è riuscito, brano dopo brano, a tener desta l’attenzione del pubblico, a far assaporare il gusto della buona musica, del suonare assieme anche, se non soprattutto, per divertimento. Merito dei musicisti, sempre più affiatati, generosi nel dare il meglio di sé, dal leader, al citato Ottolini, attento anche alla direzione, ad Andrea Tofanelli alla tromba, Marcello Giannini alla chitarra, Franz Bazzani alle tastiere, che in certi momenti hanno ricordato episodi legati alla svolta elettrica davisiana di ‘Bitches Brew’(1969), a Giovanni Guidi al piano acustico, spesso forzatamente assente perché impossibilitato ad inserirsi quando i fiati prendevano tutt’insieme il sopravvento, a Stefano Senni al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria, che si confermano una sicura e snella sezione ritmica. Assai azzeccate, infine, le improvvisazioni dei due sassofonisti, Daniele Tittarelli al contralto e Dan Kinzelman al tenore. Tra i brani più festosi, uno dal carattere latineggiante, un altro dall’andamento reggae, per ricordare che non esiste un unico genere musicale e che, forse, la mescolanza, durante un concerto, può portare un’iniezione di forza e vitalità. Apprezzata, nel bis, una breve citazione di ‘The Theme’, una specie di sigla con la quale Miles Davis negli anni ’50 e ’60 soleva congedarsi dalla platea.