Lo “Spirito d’Armenia” è penetrato all’interno del Gran Teatro la Fence

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Savall protagonista di un concerto di rilievo. Prossimo appuntamento della Società Veneziana dei Concerti con il Quartetto d’Archi di Venezia

Di Giovanni Greto

jordi savall 01 wide 3cba08856d4502f1ba3e6a9ec530e92187d1ae7c“Nostos”, “ritorno”, la nuova stagione di musica da camera della Società Veneziana di Concerti non poteva cominciare in maniera migliore. Sul palco di un teatro La Fenice, per la verità non esaurito, è salito il settantacinquenne violista e ricercatore musicale Jordi Savall con una formazione ridotta dello storico gruppo (la fondazione nella città di Basilea risale al 1974) Hesperion XXI, cui si sono aggiunti quattro musicisti armeni: Aram Movsisyan, poco più che trentenne, alla voce e al Daf, un tamburo a cornice al cui interno trova posto una serie di anelli metallici; Georgi Minassyan e Haig Sarikouyoumdjian al duduk; Gaguik Mouradian al Kamantcha, un antico strumento originario dell’Azerbaijan a 3, 4, 5 corde, suonato con un arco. 

Oltre a Savall alla viella e alla viola ad arco, leader e responsabile della direzione, Hesperion XXI allineava l’italiana Viva Biancaluna Biffi alla viola d’arco, il catalano Dani Espasa all’organo e il veterano compagno d’avventure Pedro Estevan, di Alicante, alle percussioni (tambor tenor, darbuka e tamburo a cornice). 

Il concerto, sviluppatosi in due tempi, ha presentato composizioni sia vocali che strumentali anonime, canti tradizionali raccolti da Komitas Vardapet (1869-1935), pezzi di Sayat Nova (1712-1795) e di altri autori quali Gusan Ashot ( 1907-1989), Gabriel Yeranian (1827-1862), Bardo Djivan (1846-1908), T. Tchukhadijan (1837-1898). Come ha dichiarato a fine esibizione Savall, chi ascolta questi canti entra in comunione con lo spirito di un popolo che ha creato una musica di aiuto alla sopravvivenza, tanto più bella, quanto più ha dovuto soffrire. La serata è stata dedicata alle vittime del genocidio, di cui quest’anno si celebra il centenario, e a quelle di oggi, ricordando, ha concluso Savall, come «la guerra fa sempre più male alla gente innocente, mentre il ricorso alla violenza non risolve niente». 

La musica armena riesce a penetrare nell’intimità di ogni persona ed è caratterizzata da una dolce, persistente malinconia, che agisce quasi in maniera terapeutica. Grazie forse anche al duduk, strumento ad ancia doppia in legno di albicocco, di dimensioni che variano da 28 a 40 centimetri, dal timbro caldo e leggermente nasale, le cui origini risalgono, si dice, a 3000 anni fa. Bravissimi, i due esecutori armeni si sono bene intersecati con il melodioso e, all’occorrenza, lamentoso canto di Mosisyan, dando luogo ad episodi di intensa spiritualità. Buona, come sempre, l’acustica del Gran Teatro, capace di accogliere numerose proposte di differenti generi musicali.

Il 2015 della Società Veneziana dei Concerti  si conclude lunedì 14 (ore 20.00) con il concerto del Quartetto d’Archi di Venezia. Sono in programma Adagio e fuga in do minore KV 546 di Mozart, il Quartetto per archi n.8 Op. 110 di Dmitrij Sostakovic, il Quartetto n. 16 in la minore Op.135 di Beethoven. L’Opera 135 rappresenta la sintesi del linguaggio rarefatto che caratterizza l’ultima produzione di Beethoven. Non compresa dai contemporanei e in parte nemmeno oggi, l’Opera 135 si rivela illuminata da bagliori di sconcertante modernità. I confini tra forma e contenuto si fanno incerti, confusi da un lessico che registra consapevolmente la perdita del rapporto referenziale col mondo, con la rinuncia alla propria rappresentatività.