Centro Studi Confindustria, a rischio la tenue crescita dell’economia

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In agguato una manovra aggiuntiva per il 2017 da 24 miliardi di euro per centrare gli obiettivi UE a seguito del taglio della crescita prevista e per evitare l’incremento dell’Iva nel 2017

 

Aquila1La flessibilità nelle regole europee su bilanci pubblici va rivista nella dimensione e nei tempi di rientro per scongiurare correzioni e sforzi di bilancio negli anni a seguire. Nello studio del Centro Studi di Confindustria (CsC) sulla flessibilità si sottolinea come sia cruciale che «alla deviazione dagli obiettivi di deficit in un anno non segua una maggiore austerity». 

In Italia, nel 2016, cita CsC, grazie all’utilizzo della flessibilità si avrà una minore riduzione del deficit di bilancio strutturale pari a 0,6 punti di Pil (più di quella consentita pari a 0,4) ma nel 2017 e nel 2019, se si desse seguito a quanto previsto dal Patto di stabilità e crescita la restrizione dovrebbe essere almeno dello 0,5% del Pil l’anno. Se si tiene conto delle clausole di salvaguardia che sono ancora attive, la correzione nel 2017 dovrebbe essere di 1,4 punti di Pil, circa 24 miliardi, l’anno successivo di ulteriori 0,2 punti e nel 2019 di 0,5 punti di Pil. «Si tratta di un aggiustamento che avrebbe la forza di soffocare i benefici delle riforme e condurre, politicamente, a bloccare il processo stesso. In questo senso, è positivo che si stia negoziando per allentare la stretta nel 2017» conclude CsC. Bisogna solo vedere se a Bruxelles ci saranno orecchie in grado di ascoltare le richieste italiane.

Il Governo italiano, ricorda CsC, per il 2016 ha chiesto l’utilizzo della clausola sulle riforme per un ammontare complessivo di 0,5 punti di Pil e la possibilità di ottenere spazi di bilancio ha sicuramente fornito un incentivo alla realizzazione delle riforme. Ma il fatto che la deviazione dall’obiettivo di deficit è consentita solo nella misura massima dello 0,5% del Pil, per un solo anno e solo con il rientro dal successivo pone, secondo CsC, altri problemi, oltre ai problemi in tema di politica di bilancio negli anni successivi. Innanzitutto, rileva lo studio, la clausola non incentiva quelle riforme che possono comportare un costo superiore alla soglia massima consentita e protratto anche negli anni successivi a quello per il quale si chiede l’utilizzo della clausola. E cita, ad esempio, il taglio dei contributi previdenziali per i neo assunti a tempo indeterminato attuato nel 2015; questa misura, tesa a rafforzare gli effetti del Jobs Act, ha richiesto risorse per 1,9 miliardi nel 2015, 4,9 miliardi quest’anno, 5 nel 2017 e 2,9 nel 2018 ed è stata seguita da uno sgravio a scalare che farà venir meno 800 milioni nel 2016, 2,1 miliardi nel 2017, 1,3 nel 2018 e 0,1 nel 2019. I costi in termini di bilancio pubblico di tale misura, come si vede, arrivano ben oltre l’anno. Lo spazio di bilancio per le riforme, consentito dalla clausola nel 2016, dovrà essere, invece, compensato a partire già dal 2017, proprio quando le mancate entrate raggiungeranno il picco di 7,1 miliardi. A tutto questo va aggiunto che gli effetti positivi delle riforme sulla crescita economica possono essere percepiti da imprese e famiglie solo dopo qualche anno.