La filosofia di Han Bennink. L’improvvisazione secondo un batterista

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Esce per i tipi di Mimesis edizioni l’agile volumetto scritto da un giovane promettente batterista, Raul Catalano
 

 

Di Giovanni Greto

 

 

LIBRO SU HAN BENNINK 1024x830 1L’agile volumetto fa parte di una collana di musica contemporanea che intende far luce sulla filosofia dei musicisti. Catalano è un giovane, promettente batterista, laureatosi in filosofia all’Università Ca’Foscari di Venezia e diplomatosi in batteria e percussioni jazz al Conservatorio veneziano Benedetto Marcello. 

«Ho scritto questo libro – scrive l’autore nella premessa – perché penso, da ascoltatore come da musicista, che la musica debba trasmettere energia e Han lo fa da più di 50 anni». Vedere cosa Bennink riesce a fare con un paio di bacchette, prosegue, lo ha aiutato ad essere meno intimorito dallo strumento. «La cosa più difficile è stata scrivere sull’improvvisazione, un’operazione ad alto rischio di fallimento». 

In nemmeno dieci pagine, Catalano riesce a sintetizzare la carriera di Bennink, nato a Zaandam, poco distante da Amsterdam, nel 1942, figlio di un percussionista classico e clarinettista swingante con la passione per il Jazz, che si portava dietro il figlioletto in tournee, consentendogli di ammirare importanti personaggi del Jazz tradizionale come Louis Armstrong, per esempio. Penso che questa prima esperienza con la musica gli sia rimasta nella costruzione degli assolo. Bennink ha uno swing impeccabile e, accanto ad episodi di assoluta libertà e fantasia, esegue delle figurazioni canoniche, tipiche dell’early jazz, che pochi batteristi moderni inseriscono nei loro assolo.

Per Bennink l’anno della svolta è il 1960. Arriva a New York dall’Olanda suonando a bordo di una nave, trova una scena musicale in fermento, incontra Albert Ayler e si avvicina al Free Jazz, anche se questa etichetta non gli è mai piaciuta, perché fonte di fraintendimenti.

Catalano passa poi ad esaminare cinque dischi fondamentali, accostando all’analisi musicale considerazioni filosofiche suggerite dall’ascolto.

Nel terzo capitolo, l’autore descrive una sua esperienza di musicista di strada, alle prese solo con il rullante, per mettersi alla prova nelle stesse condizioni di Bennink, che spesso suona con set ridotti all’osso, per vedere cosa  succedeva.

L’ultima parte rende conto di un concerto in duo con Uri Caine al Jazz club di Ferrara, probabilmente nel 2014, preceduto da un’intervista dalla quale si percepisce, al di là di un istrionismo innato, la serietà di un musicista inimitabile, dallo stile originalissimo, cui piace giocare con la musica, provando a 72 anni ancora le stesse emozioni di un bambino. Assai utili nel testo le indicazioni dei link, per cui ognuno può approfondire e verificare quanto ha appena letto.

 Ma un’artista a tutto campo (Bennink dipinge e suona anche il sax) che cosa pensa dell’istruzione musicale, che lui si rifiutò di intraprendere, preferendo iscriversi alla Scuola d’Arte? «Non so leggere la musica. Come musicista mi interessa il risultato, non la difficoltà della partitura. Da ascoltatore, invece, capisco se la musica è buona o no».