Sfatato un mito: i piccoli imprenditori guadagnano più del doppio dei propri dipendenti

Secondo gli ultimi dati del Mef, dalle dichiarazioni dei redditi emerge la verità che artigiani, commercianti, liberi professionisti non sono degli evasori a prescindere, da reprime e e “tosare” a prescindere. 

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Secondo gli ultimi dati presentati dal ministero dell’Economia e delle Finanze (anno 2018), i piccoli imprenditori e i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, liberi professionisti) hanno dichiarato in media un reddito pari a 25.290 euro, mentre le società di persone (Snc, Sas, etc.) 34.260 euro. Per quanto riguarda i dipendenti, invece, coloro che sono occupati nelle attività dei primi, percepiscono mediamente 9.910 euro, mentre i lavoratori alle dipendenze dei secondi 13.850 euro.

Un dato accolto con legittima soddisfazione dal mondo delle arti, mestieri e professioni. «Finalmente facciamo chiarezza su un punto: è del tutto infondata la tesi che gli imprenditori guadagnino meno dei dipendenti – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani di Mestre, Paolo Zabeo -. Sostenuta in particolar modo dal mondo sindacale, questa argomentazione è stata elaborata da alcuni commentatori che in passato hanno comparato in modo scorretto i redditi medi dei datori di lavoro, includendo anche quelli delle ditte individuali che non hanno personale alle proprie dipendenze, con quelli dei dipendenti, comprendendo in questi ultimi anche le retribuzioni di soggetti con redditi elevati, come gli alti dirigenti pubblici e privati. Obiettivo di questa operazione? Dimostrare che i piccoli imprenditori sono un popolo di evasori. In realtà, confrontando correttamente i redditi dei titolari di microimprese con quelli dei propri dipendenti, emerge un risultato di segno opposto che ridà dignità al mondo del lavoro autonomo».

Un’operazione verità, quella realizzata dalla Cgia di Mestre, che torna di attualità proprio in queste settimane, allorché una buona parte dell’opinione pubblica chiede con forza l’applicazione di ulteriori misure restrittive contro l’evasione.

Dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi del 2018, emerge come i piccoli imprenditori (ditte individuali) e i lavoratori autonomi dichiarino mediamente 37.470 euro in Trentino Alto Adige, 36.070 euro in Lombardia, 31.700 in Friuli Venezia Giulia, 31.070 euro in Veneto, 31.020 in Emilia Romagna, 28.640 euro in Piemonte e 28.630 euro in Liguria. «Ricordo – sottolinea Zabeo – che oltre il 70% degli artigiani e dei commercianti non ha dipendenti. Ebbene, con un livello di reddito medio che, nonostante le difficoltà economiche, al Nord supera i 30.000 euro, questi operatori quanta parte di reddito nasconderebbero al fisco?»

Di segno opposto, invece, la situazione presente al Sud, dove i livelli di reddito sono molto contenuti. In alcune zone del Mezzogiorno, fare impresa è sempre più difficile e per molti il ricorso all’evasione consente di recuperare liquidità per mantenere in vita l’attività. Nel Meridione, il reddito medio dichiarato al fisco dagli autonomi e dai piccoli imprenditori è molto basso: se in Campania è pari a 13.340 euro, in Puglia ammonta a 12.810 euro, in Sicilia a 12.640 euro e in Calabria solo a 6.120 euro

Nel 2016 (dato più recente) l’evasione stimata in Italia è stata del 16%. Ciò vuol dire che per ogni 100 euro di gettito incassato dal fisco, 16 rimangono illegalmente nelle tasche degli evasori. In termini assoluti, invece, sono 113,3 i miliardi di euro che in quell’anno sono stati sottratti all’erario.

A livello territoriale, secondo la Cgia, le realtà più a rischio sono quelle del Sud: in Calabria la stima di evasione è al 24,2%, in Campania è al 23,2%, in Sicilia al 22,2% e in Puglia al 22 per cento. Nelle regioni del Centro-Nord, invece, la situazione desta meno preoccupazioni. In Veneto il tasso di evasione si attesta al 13,8%, in Trentino e in Friuli Venezia Giulia scende al 13,3%, in Lombardia al 12,5%, fino a fermarsi al 12% in Alto Adige.

Il mondo dell’evasione/elusione fiscale presente in Italia è molto più articolato di come viene superficialmente descritto da molti osservatori. Se il barista o l’idraulico non emettono lo scontrino o la ricevuta fiscale, il cliente finale se ne accorge ed è in grado di denunciare l’infrazione. Che potere di interdizione ha, invece, di fronte all’evasione delle grandi multinazionali che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, sottraggono al fisco italiano 20 miliardi di euro all’anno e che grazie ad un complicato sistema di scatole nei paesi fiscalmente più accomodanti pagano in media di tasse meno del 2% dei loro guadagni?

Ed ancora. Dopo gli scandali di “Panama Paper” e della “lista Falciani” – dove un numerosissimo gruppo di faccendieri, finanzieri, manager pubblici, grandi imprenditori, vip del mondo dello spettacolo hanno trasferito illegalmente decine e decine di miliardi di dollari nei paradisi fiscali di tutto il mondo – quanti cittadini onesti si sono indignati di fronte delle misure legislative applicate in questi ultimi anni (come la voluntary disclosure) che hanno consentito a molti di questi soggetti di “sanare” a sconto la propria posizione nei confronti del fisco italiano?

E ancorché non si possa parlare di evasione, perché mai l’opinione pubblica non si scandalizza nei confronti di molte holding italiane (FCA, Eni, Enel, Ferrero, Telecom, Saipem, Luxottica Group, Illy, etc.) che da qualche anno hanno trasferito la sede legale principale, o di una consociata, nei Paesi Bassi per beneficiare anche della fiscalità di vantaggio offerta da questo Paese?

Tante belle domande che rimangono senza risposta se si pensa che i circa 110 miliardi di evasione fiscale e contributiva denunciati dal ministero dell’Economia e delle Finanze sono pressoché stabili da almeno 10 anni, mentre nello stesso periodo l’amministrazione finanziaria ha visto aumentare notevolmente il numero di strumenti a disposizione per contrastare chi evade il fisco. Ma i risultati, a quanto pare, sono stati molto se non del tutto inefficaci.

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