Italia, a febbraio nuovo declino settore manifatturiero, cresce rischio recessione

La situazione economica analizzata dal “Finacial Times” e dall’indice dei direttori degli acquisti Ihs Markit. Per il Cerved aumenta la possibilità di fallimento delle imprese.

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A febbraio 2020, l’Italia ha registrato il diciassettesimo mese consecutivo di declino del suo settore manifatturiero, dato che accresce i timori di una ricaduta del Paese in recessione anche a causa delle conseguenze del coronavirus.

Secondo il quotidiano britannicoFinancial Times”, che commenta i risultati dell’indice dei direttori degli acquisti Ihs Markit per il mese di febbraio, il settore manifatturiero italiano vede la perdita di 0,2 punti con la discesa a quota 48,7. L’indicatore è stato completato il 21 febbraio scorso, prima che l’Italia fosse colpita dal contagio del coronavirus. Risultati simili sono stati registrati anche in Francia, dove l’indice dei direttori degli acquisti delle piccole e medie imprese ha perso 1,3 punti per scendere a quota 49,8. Nell’Eurozona, l’attività manifatturiera è aumentata e l’indice dei direttori degli acquisti è cresciuto di 1,3 punti attestandosi al livello 49,2. I dati al di sopra di quota 50 indicano una crescita economica, mentre al contrario quelli al di sotto di tale soglia denunciano un rallentamento dell’attività.

Il “Financial Times” nota che l’indice Markit dei direttori degli acquisti del settore manifatturiero registra ciò che è accaduto in passato e non è in grado di fornire valide indicazioni sugli andamenti dell’economia nell’immediato futuro. Pertanto, secondo l’economista Katharina Koenz di Oxford Economics, «la domanda interna dell’Eurozona a breve termine potrebbe subire un duro colpo se l’epidemia di coronavirus dovesse costringere i governi europei a prendere severe misure di contenimento e di conseguenza le fabbriche dovessero chiudere».

Tornando all’Italia, il “Financial Times” cita l’analisi del Cerved Rating Agency del Gruppo Cerved secondo cui il rischio di fallimento tra le aziende italiane potrebbe salire dal 4,9% al 6,8%, nella migliore delle ipotesi secondo cui il coronavirusverrebbe contenuto entro la prima metà 2020. Se invece il contagio dovesse espandersi fino alla fine del 2020, Cerved prevede che la percentuale di fallimenti possa arrivare al 10,4%. In questo scenario, i settori più colpiti sarebbero quello tessile, i trasporti e l’industria del turismo.

Le conseguenze del contagio sono già evidenti: rallentamenti nella produzione, chiusure temporanee forzate, calo dei margini. In uno scenario macroeconomico domestico e internazionale già caratterizzato da un rallentamentogeneralizzato della crescita, gli effetti del coronavirus sulla produzione cinese hanno comportato nelle scorse settimane una netta frenata del comparto manifatturiero, con conseguenze a catena non trascurabili sullo stato di salute dei mercati mondiali.

In particolare, nelle scorse settimane si è assistito alle tipiche manifestazioni di fenomeni di crisi, quali il calo del valoredelle principali materie prime come petrolio, rame e gas naturale, congiuntamente a un aumento del valore dell’oro.

Le ipotesi formulate dal Cerved riguardano essenzialmente le evoluzioni attese in termini di valore e costo della produzione, principali voci di bilancio per cui si prevede un calo (con alcune eccezioni per il settore farmaceutico) derivante dalla riduzione dei volumi di produzione e di contrazione della domanda. Analogamente, si prevede un peggioramento generalizzato del capitale circolante netto e un aumento dei debiti finanziari a breve.

Tali ipotesi sul comportamento atteso delle aziende italiane possono, pertanto, determinare una generale involuzionedelle dinamiche economico-finanziarie che influenza la performance economica, la struttura finanziaria e l’andamento dei pagamenti. Ciò che ci si attende, con impatti diversi a seconda degli scenari soft o hard, è un graduale popolamento delle classi più rischiose, con conseguente aumento della probabilità media di default.

Le imprese cosiddette a rischio aumenterebbero dell’8% nel caso soft e addirittura del 26% nel caso hard, con conseguenze quasi imprevedibili per il tessuto economico locale e nazionale, con inevitabili fallimenti e chiusure delle aziende coinvolte. Il deterioramento di merito creditizio ipotizzato, insieme agli effetti negativi derivanti dall’innalzamentodel livello complessivo di indebitamento finanziario a breve termine, sarebbe particolarmente rilevante per settori più esposti, come il turismo e le aziende del comparto manifatturiero che presentano interconnessioni maggiori con la Cina, soprattutto per quanto attiene all’importazione delle materie prime. Le stime d’impatto sulla marginalità delineano un quadro allarmante per i settori maggiormente impattati come il manifatturiero tessile, i trasporti e il turismo, per il quale si prospettano addirittura dei livelli di marginalità negativi nello scenario peggiore.

Nel contesto delle imprese valutate costituiscono invece un’eccezione le aziende del settore farmaceutico, sia per la produzione sia per il commercio al dettaglio di medicinali, per le quali è ragionevole attendersi un miglioramento della marginalità e una riduzione moderata dei profili di rischio.

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